Per i motivi a tutti noti, oggi si parla sempre più di una crisi irreversibile della Chiesa. Secondo molti analisti, essa assomiglierebbe a una “casa che brucia”, a una “barca che sta per inabissarsi nel mare”, a una “comunità che sta implodendo al suo interno”.
Intanto sarebbe utile fare una sorta di explicatio terminorum per chiarire il significato della parola “Chiesa”, troppo spesso usata per indicare il Papa, i vescovi e i sacerdoti. Il termine greco ekklesia e quello ebraico qahal indicano che Chiesa significa persone “chiamate” e “convocate” da Dio. Pertanto, il riferimento non è solo alla gerarchia ecclesiastica, ma a tutto il popolo di Dio, cioè ai credenti che quotidianamente si impegnano a vivere la loro fede, a partecipare alla vita sacramentale e a praticare l’azione caritativa nei riguardi dei poveri.
Più specificamente, nel concetto di Chiesa bisognerebbe distinguere i differenti livelli di riferimento. Di solito, si indica il luogo materiale dove si celebra il culto. Dal punto di vista sociologico, dire Chiesa significa fare riferimento a una determinata comunità di persone identificabile per le specifiche convinzioni, le particolari tradizioni, i valori di riferimento, i comportamenti e gli stili di vita che possono essere analizzati secondo i parametri propri delle scienze sociali. Sul piano storico, si considera la Chiesa come ogni altro soggetto che agisce nel tempo con le sue crisi, le sue involuzioni, i suoi progressi, le sue sconfitte. Dal punto di vista teologico, però, bisogna sottolineare la natura totalmente differente della Chiesa dagli altri soggetti sociali e storici, perché la sua specifica identità è “teandrica”, cioè unità tra dimensione divina e dimensione umana.
In altri termini, quando si parla di Chiesa, in senso teologico, si intende dire che essa non è composta solo da uomini, con i loro pregi e i loro difetti, ma anche da Dio che l’ha voluta, la custodisce, la anima interiormente e la sorregge nel suo procedere lungo il corso della storia. Insomma, la Chiesa non l’hanno fondata gli uomini, ma Cristo con la sua morte e la sua risurrezione. Fondata su Cristo, che è la “pietra angolare”, la Chiesa è animata, guidata e santificata dallo Spirito Santo. Per dirla in termini più semplici, non è un club, un partito, un’associazione, una ong dove si programmano azioni lodevoli sul piano sociale e umanitario, ma una realtà divino-umana costituita per la salvezza del mondo. Bisogna, pertanto, stare attenti a non ridurla solo al piano sociale e storico, perché si rischia di non comprendere la sua vera natura.
Considerando questa complessa identità della Chiesa, anche i giudizi su di essa dovrebbero distinguere i differenti piani che, di volta in volta, si prendono in considerazione. Se si parla dal punto di vista sociale e storico, si possono notare le diverse fasi della sua presenza nel mondo, stando però attenti a distinguere tra “uomini di Chiesa” e la Chiesa in quanto tale, dal momento che essa, come accennavo prima, ha una essenza teandrica, cioè non si identifica solo con le persone che ne fanno parte, ma trova la sua reale e piena consistenza sul fondamento cristologico, pneumatologico e trinitario.
Quando si parla di “riforma” della Chiesa, non si deve dimenticare questa sua costituzione essenziale. Che essa, considerata sul piano sociale e storico, abbia bisogno di riformarsi è cosa pacifica. Come ogni altro soggetto sociale e storico, la Chiesa deve rinnovarsi nel tempo. Sotto questo profilo, da riformare non è solo la Chiesa, ma anche la società. Per stare alla nostra Italia, basti pensare alle continue raccomandazioni a realizzare le riforme necessarie per attuare il Pnrr.
Altra cosa è quando si intende riformare la Chiesa ab imis fundamentis, toccando la sua realtà sostanziale ossia la sua identità divina, intimamente e indissolubilmente legata alla dimensione umana. Dio non muta e rimanere immutabile nel tempo. Certo, a partire dalla ripresa dell’antico assioma “ecclesia semper reformanda”, si evidenzia che la riforma è una dimensione costitutiva della Chiesa, intendendo dire che la Chiesa deve sempre più lasciar trasparire la persona e il mistero di Cristo, in quanto egli è la “forma” e il “formatore” della Chiesa, in un dinamismo spirituale che fa di lui un perenne riformatore della sua sposa. In questo senso, bisognerebbe distinguere tra la “riforma” e le “riforme”[1].
A tal proposito, è utile ricordare una famosa opera del teologo domenicano Yves Congar significativamente intitolata “Vera e falsa riforma nella Chiesa”[2]. In essa, egli esponeva tre idee di riforme: anzitutto quella dettata dagli abusi e, perciò, una riforma morale che si realizza nell’ordine della vita della Chiesa. Un secondo tipo di riforma sarebbe quella che vuole intervenire sui principi strutturali della Chiesa, ossia sui dogmi, i sacramenti e la sua struttura gerarchica come intesero fare i riformatori del XVI secolo. Il terzo tipo di riforma riguarda le sue strutture storiche e sociologiche.
Anche il disegno riformatore di Papa Francesco prevede una “riforma” della Chiesa. Quando egli parla di reformatio pensa certo ad una riforma delle strutture ecclesiastiche: in primo luogo, però, guarda a una riforma che tocchi la vita dei cristiani, perché essi lascino trasparire nel mondo il volto luminoso di Cristo. «Le due cose - la vita interiore e la riforma esteriore - procedono insieme e contemporaneamente. L’idea di riforma propria di Francesco non è un ideale ma qualcosa di concreto. Senza dubbio egli pensa che una riforma esteriore delle strutture non sia sostenibile senza uno spirito e uno stile di vita adeguati»[3].
Per una maggiore comprensione dell’idea del Papa, penso sia di grande rilevanza richiamare quanto egli ha detto in occasione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze, il 10 novembre 2015, quando ha sottolineato che la riforma della Chiesa «è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività».
“Riformare”, dunque, è ben più di un qualunque mutamento strutturale, ma vuol dire far risplendere la “sacramentalità” della Chiesa, ossia la sua trasparenza nei riguardi di Dio che in Cristo la fa esistere e agire nel mondo. Pertanto, la riforma della Chiesa non è indirizzata a una sorta di “democratizzazione ecclesiale”, ma si propone il fine di rimettere Cristo e il suo vangelo al centro della vita delle persone, delle comunità, della società e del mondo.
* Vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca
[1] Cfr. A. Spadaro, C. M. Galli, (a cura di), La riforma e le riforme nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2016.
[2] Cfr. Y. Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1972.
[3] V. M. Fernández, Il progetto di Francesco. Dove vuole portare la Chiesa. Una conversazione con Paolo Rodari, Emi, Bologna 2014, pp. 78-79.