L’abbraccio di tre comunità ecclesiali riunite intorno al medesimo santo. È questa l’icona di quanto avvenuto nella sala conferenze dell’Episcopio leccese allorquando mons. Seccia ha accolto mons. Giuseppe Favale, vescovo di Conversano-Monopoli, e mons. Želimir Puljić, arcivescovo di Zara.
Occasione dell’incontro, svoltosi al termine dei festeggiamenti patronali, è stata una scoperta che potrebbe donare nuova luce alla storia antica del Cristianesimo in Puglia. È noto come la cittadina di Turi, appartenente alla diocesi di Conversano-Monopoli e da sempre devota a Sant’Oronzo, abbia vissuto in questi mesi un particolare tempo di grazia, attraverso la celebrazione di un riuscitissimo Giubileo oronziano, volto a commemorare il 1950° anniversario del martirio del primo vescovo leccese. Culmine dell’evento è stata la temporanea traslazione, nella matrice di Turi, di una venerabile reliquia attribuita al santo e rinvenuta in terra croata. Ad illustrare l’importante scoperta è stato l’arciprete turese don Giovanni Amodio, anch’egli presente all’incontro perché guida della spedizione che ha portato al notevole ritrovamento.
In verità la voce di qualche traccia di Sant’Oronzo nelle contrade croate era conosciuta. Già negli anni ’70 e ’80 lo studioso leccese mons. Luigi Protopapa, convinto assertore della storicità del santo, si era recato a Zara per visionare una singolare urna corredata dall’iscrizione “Caput Sancti Orontii” di cui aveva avuto notizia ma i severi limiti imposti dal regime comunista jugoslavo gli avevano impedito di approfondire. Don Amodio ed i suoi collaboratori sono andati alla ricerca proprio di quell’urna e davvero grande è stato lo stupore nel constatare, sulla base di documenti reperiti in loco, come essa contenesse sì il cranio di un Sant’Oronzo ma decapitato in Gallia nel IV sec. Si trattava insomma di un omonimo del vescovo di Lecce, del quale la tradizione popolare ha sempre fissato l’estrema testimonianza in tempi apostolici. Quando tutto sembrava svanito in un clamoroso abbaglio ecco lo straordinario colpo di scena. Nella vicina ed antica città di Nona, sede arcivescovile soppressa nel 1828, è custodito un prezioso astuccio risalente all’XI sec. in cui è conservata la tibia di un Sant’Oronzo, identificabile stavolta con il martire pugliese. Questo reliquiario, in legno rivestito d’argento, presenta infatti sul fronte un medaglione in cui è scolpita la figura di un vescovo benedicente accompagnata dalla legenda “SA RONCI”. Secondo don Amodio potrebbe trattarsi della più antica iconografia di Sant’Oronzo ad oggi conosciuta mentre la venerata tibia racchiusa nella ricca custodia potrebbe essere l’unica reliquia del santo vescovo giunta sino a noi.
Al termine dell’incontro, Mons. Seccia, che si è recato personalmente nei giorni scorsi nella cittadina barese, ha auspicato la possibilità di avere anche a Lecce la sacra tibia durante le celebrazioni del prossimo anno ma ha espresso soprattutto la volontà di organizzare un convegno di studi volto ad approfondire il tema ed a risolvere i molti interrogativi storici suscitati dalla scoperta.
Al termine dell’incontro, mons. Seccia ha accompagnato l’arcivescovo di Zara e gli altri ospiti in cattedrale per un momento di preghiera davanti ai simulacri dei santi patroni ancora esposti alla venerazione dei devoti.