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“La contemplazione che si compie durante l’adorazione non è a senso unico, ma è l’incrocio di due sguardi che si cercano, quello di Gesù e quello del credente”.

 

 

 

È soltanto un passaggio della lunga intervista a mons. Maurizio Barba, sacerdote della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca e docente di liturgia presso il Pontificio Ateneo “Sant’Anselmo” in Roma. Nelle sue parole l’implicito invito ai lettori di Portalecce alla riscoperta di una pia pratica che, forse, negli ultimi tempi, è andata un po’ in soffitta non solo nelle comunità parrocchiali, ma anche negli istituti religiosi e negli incontri di preghiera organizzati dalle associazioni laicali.

 

 

Don Maurizio, quando si parla di adorazione eucaristica a cosa si fa riferimento?

L’adorazione eucaristica rimanda ad una delle verità credute dal cristianesimo: la presenza reale di Cristo. È un principio che afferma che, nella celebrazione eucaristica, il pane e il vino sui quali viene pronunciata la preghiera eucaristica divengono il corpo e il sangue di Cristo crocifisso e risorto, quindi realmente presente nel sacramento celebrato. La fede nella presenza reale viene fondata sulle parole che i vangeli sinottici attribuiscono a Gesù la sera prima della sua morte durante l’ultima cena: “questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”. Il più grande gesto di adorazione che la Chiesa compie è la stessa celebrazione della messa. Ed è proprio dalla celebrazione eucaristica che trae origine l’uso che gradualmente si è sviluppato nella Chiesa di sostare in preghiera di fronte al SS.mo Sacramento per prolungare l’ascolto, la lode, la supplica che comunitariamente viviamo nella celebrazione eucaristica, in una forma più raccolta e silenziosa. Inoltre, nella celebrazione eucaristica, e di riflesso nell’adorazione eucaristica, si realizza in maniera più alta la promessa di Gesù con cui si chiude il vangelo di Matteo: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Potremmo quindi dire che nell’Eucaristia Gesù è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi!

 

 

Qual è la storia di quest’antica forma di preghiera? Come e dove nasce?

Sebbene gli inizi risalgano al diffondersi della vita cenobitica e monastica, che prevede lunghi tempi di meditazione e contemplazione alla presenza dell’Eucaristia, è a partire dal 1226 che la pratica dell’adorazione conosce il suo sviluppo più ampio a seguito delle varie eresie che imperversavano, specialmente quelle che negavano la presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche. L’adorazione eucaristica fuori della messa cominciò a svilupparsi in Occidente a partire dall’XI secolo, come reazione all’eresia di Berengario di Tours, il quale negava la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, ammettendone solo una presenza simbolica.

 

 

Tanti santi ci insegnano dove attingere la forza per vivere con coerenza il vangelo…

Un bell’esempio ci viene da una figura giovane, dei nostri tempi, il Beato Carlo Acutis. Egli ci consegna il segreto della sua santità quando affermò: “essere sempre unito a Gesù, ecco il mio programma di vita”; “l’Eucaristia è la mia autostrada per il cielo”. Ed ancora: “quando ci si mette di fronte al sole ci si abbronza, ma quando ci si mette davanti a Gesù Eucaristia si diventa santi”. Un altro modello di grande attualità è San Charles de Foucauld: dal suo amore per l’Eucaristia scaturì quello per ogni uomo, tanto da diventare il “fratello universale”, noto per il suo rapporto con i non cristiani e soprattutto con i musulmani, e insigne per il suo amore all’Eucaristia, davanti alla quale pregava dicendo: “la tua felicità, Gesù mi basta!” Infine, altra figura eloquente è San Giovanni Maria Vianney, conosciuto come il “Santo Curato d’Ars”, il quale narra di un contadino che tutte le sere alla stessa ora, entrava da solo in chiesa, si sedeva all’ultimo banco e guardava fisso il tabernacolo. Stava lì in silenzio per lungo tempo, non aveva libri di preghiera perché non sapeva leggere, né corona del rosario. Incuriosito dal comportamento di quell’anziano contadino, il santo Curato una sera gli si avvicinò e gli chiese: “buon uomo, ho osservato che ogni giorno venite qui alla stessa ora e nello stesso posto. Vi sedete e state lì. Ditemi: cosa fate?”. Il contadino, scostando per un attimo lo sguardo dal tabernacolo rispose: “Nulla, signor parroco, io guardo lui e lui guarda me”.

 

 

Al credente non mancano, dunque, esempi da seguire per comprendere l’importanza di questa pratica di pietà. Quale atteggiamento assumere?

La contemplazione che si compie durante l’adorazione non è a senso unico, ma è l’incrocio di due sguardi che si cercano, quello di Gesù e quello del credente. Adorare è stare sotto lo sguardo di Colui che ha dato la vita per noi; significa lasciare che il suo sguardo si posi su ciascuno di noi che siamo il frutto della sua passione. Pensiamo all’incontro dello sguardo di Gesù con quello di Pietro nel cortile del Sommo Sacerdote il mattino del venerdì santo. Il vangelo ci parla di Pietro che piange amaramente: un pianto provocato dallo sguardo misericordioso di Gesù che, superando il suo tradimento, gli dona la gioia del perdono, uno sguardo che cambia il suo cuore di pietra in cuore di carne. Il credente che vive il momento dell’adorazione è colui che, consapevole di essere un peccatore, è graziato dallo sguardo benevolente di Gesù, sguardo di perdono, di amore, di amicizia, di compassione.

 

 

Come fare per avvicinare i più giovani a scoprire la bellezza dell’adorazione?

Partirei proprio dall’etimologia del termine “adorare”, che significa avere un sentimento di grande affetto e di ammirazione verso una persona. Nella sua radice, il termine deriva dal latino “ad os”, che indica l’atto del portare le mani alla bocca, alle labbra per fare un segno di saluto, di rispetto, di venerazione e di adorazione. Poiché il termine ha attinenza con la bocca o con le labbra, mi rifarei alle principali funzioni della bocca per trarre delle conseguenze spirituali. Anzitutto, attraverso la bocca esprimiamo il nostro senso di stupore di fronte a qualcosa di straordinario: adorare è stare davanti a Colui che ha creato i cieli e l’universo, ma che si rende presente in un semplice, povero e umile pezzo di pane. Attraverso la bocca e le labbra esprimiamo il nostro affetto verso qualcuno, mediante ad esempio il bacio: adorare è la più grande dichiarazione d’amore che possiamo rivolgere al Signore. Attraverso la bocca passa il respiro: adorare è stare davanti a Colui che mi dona il suo Spirito, che dà la vita. Infine, mediante la bocca passa il nutrimento: adorare è stare di fronte a Colui che ci nutre, che si fa nostro nutrimento.

 

 

Ma l’adorazione ha senso solo in questa vita?

Quando pratichiamo l’adorazione eucaristica, non facciamo altro che anticipare qui sulla terra ciò che un giorno faremo nell’eternità, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più bisogno della consacrazione, dove non riceveremo più la comunione, ma lì rimarrà un unico atto, l’adorazione, la contemplazione dell’Agnello immolato per noi!

 

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