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“I laici sono un ricchezza enorme”. Parola di monsAlfonso V. Amarante, rettore della Pontificia Università Lateranense (Pul), che saluta con grande favore l’inserimento di esperti laici nel Consiglio superiore di coordinamento della Pul, istituito dal Papa per “un più diretto collegamento tra l’Università del Vescovo di Roma, la quale per sua natura ha un particolare legame con la Santa Sede, e i diversi organi della Curia Romana che, a vario titolo e in base alle loro competenze, concorrono al perseguimento dei fini istituzionali dell’Ateneo”.

 

 

 

 

“Provengono da esperienze di mondi essenziali, come quello accademico, gestionale, del giornalismo e della comunicazione”, aggiunge il rettore tracciando un identikit di coloro che avranno il compito di interagire con le autorità accademiche per “indirizzare e verificare le attività, la programmazione e la progettualità della Pul”. La comunità studentesca dell’Università Lateranense, fondata nel 1773, ha raggiunto nel 2023-2024 le 1137 unità. La maggior parte degli studenti proviene dall’Europa (657), seguono l’Africa (180), l’Asia (169) e le Americhe (130). Il corpo studentesco è composto per il 40% da laici (421) e per il 60% da ecclesiastici (347), religiosi (290) e seminaristi (79).

 

 

Mons. Amarante, come si declinerà l’attività del Consiglio?

 

Sono tre le direttrici di impegno e di lavoro, perfettamente in linea con il Dna della Pul. Il primo compito, come università pontificia, è quello di insegnare le materie teologiche, filosofiche e canonistiche. La seconda direttrice è quella di individuare e sostenere un piano di sviluppo per le materie civilistiche, tra cui i cicli di studio in Scienze della pace ed Economia e ambiente, ispirati rispettivamente alle encicliche “Fratelli tutti” e “Laudato sì”. In terzo luogo, infine, si tratta di favorire una maggiore conoscenza dell’”Università del Papa” a livello mondiale.

 

 

Che ruolo può svolgere la Pul nell’ambito del dibattito pubblico?

 

Nell’ottica del santo Padre, l’università pontificia deve essere sì un luogo di studio e di ricerca, ma nello stesso tempo un luogo di incontro, di dialogo, di costruzione, e il luogo per eccellenza è il campo culturale, in cui la Chiesa ha ancora da dire una parola. Recentemente Papa Francesco ha parlato di un’università come la casa del cuore: l’università è totalmente cambiata, una volta al centro c’erano i programmi, oggi al centro c’è la persona. Se non si parte dalla persona, dalla sua capacità di interagire e di fare rete mettendoci appunto il cuore, non c’è università. Come la casa, l’università è il luogo dove si impara a fare le prime esperienze, dove si cade e ci si rialza, dove si allena la curiosità nei confronti del mondo. Per noi è un grande onore e un grande onere essere l’”università del Papa”. Non siamo un’università cattolica, siamo un’università pontificia: i cicli di studio che possiamo aprire sono inerenti al magistero papale, che per statuto ci impegniamo non solo a ripetere, ma ad approfondire e sviluppare.

 

 

Come esercitare, allora, quella teologia “di carne e di popolo” auspicata dal Papa?

 

Una teologia che abbia carne e corpo deve recuperare la capacità di parlare lo stesso linguaggio del popolo di Dio, spesso molto distante dai linguaggi accademici. La vera sfida è trovare i canali giusti per declinare il sapere teologico in sapere di vita. Il dramma è che l’uomo di oggi non comprende più il nostro linguaggio: bisogna sapere trovare nuove forme di comunicazione per far capire e trasmettere la bellezza della vita eterna, il senso salvifico della nostra fede. In una parola, superare la visione di una teologia come scienza di nicchia, alla quale il mondo laico guarda a volte con sospetto, a favore invece di una teologia come ‘scientia cordis’, capace cioè di dialogare con l’uomo di oggi a partire dalle domande di senso. Il primo esempio, in questo senso, sarà il monologo sull’anima con cui Giacomo Poretti inaugurerà il 13 novembre l’anno accademico. È stata una scelta voluta, quella di un attore che riesce con ironia a parlare di un tema così bistrattato da un mondo spesso senz’anima, raggiungendo una platea certamente più vasta di quella che di solito riusciamo a raggiungere.

 

 

Tra i compiti affidati al Consiglio dal Santo Padre c’è anche quello di reperire risorse finanziarie fuori. Come coniugare questa attività con l’autonomia e la specificità di un’università pontificia?

 

Senza dubbio si tratta di una grande sfida. La Chiesa crede nella Pontificia Università Lateranense e nel suo valore come istituzione, e dunque continua ad investire su di essa. Ma dobbiamo tener presente che l’investimento economico a livello culturale non ha un rientro immediato, poiché i frutti si vedono a lungo termine. Basti pensare alla Cappella Sistina e alle traversie che ha dovuto attraversare Sisto IV, accusato spesso dai suoi detrattori di sperpero di solidi e di denari. Se si fosse pensato soltanto all’investimento economico, oggi non avremo la bellezza di questo capolavoro d’arte, con la sua straordinaria capacità di comunicare un messaggio salvifico a tutti i visitatori del mondo. Del resto, la Santa Sede investe da sempre sulla cultura: a livello globale, si tratta di riuscire a trovare i partner più adeguati ad aiutarci in questa missione. I primi sostenitori sono i nostri ex studenti, ma a livello mondiale, oltre alle Conferenze episcopali, ci sono tanti uomini e donne di buona volontà che condividono la nostra missione di formazione. Noi non siamo un’azienda: è vero che abbiamo un ingente patrimonio a disposizione, ma la ricaduta a cascata a livello mondiale non ha prezzo.

 

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