Via libera dalla Commissione europea di un altro farmaco anti-Covid. È il Paxlovid, prodotto dalla Pfizer, che aveva già ricevuto ieri la raccomandazione, cioè l’autorizzazione all’immissione in commercio, da parte della Agenzia europea del farmaco (Ema).
Per la commissaria europea alla salute, Stella Kyriakides, si tratta di “un passo fondamentale nel portare i farmaci più promettenti a disposizione dei cittadini” e di una “seconda linea di difesa contro la pandemia, dopo la vaccinazione”. Un commento che condivide anche Roberto Cauda, responsabile dell’unità di Malattie Infettive del policlinico Gemelli di Roma e consigliere scientifico dell’Ema, che spiega come il nuovo medicinale, almeno stando ai primi dati, riduce dell’89 per cento il rischio ospedalizzazione ma non può essere un sostituto del vaccino che resta l’arma più forte per prevenire la malattia.
Professore, perché questo nuovo farmaco anti-Covid non può essere considerato per tutti?
No, non lo è. Per esempio, non è un farmaco adatto ai paucisintomaci (chi manifesta sintomi non gravi, ndr) o gli asintomatici. L’Aifa probabilmente nei prossimi giorni descriverà il perimetro entro cui prescrivere il farmaco. Non avrebbe senso darlo a tutti gli infetti ed inoltre non verrebbe prodotto a sufficienza per tutti. Il grande vantaggio di questo farmaco è che rispetto ai monoclonali può essere assunto a domicilio nei primi cinque giorni dalla comparsa del virus. Inoltre, i dati dicono come sia un medicinale ben tollerato.
Il Paxlovid in particolare che tipo di medicinale è?
Si tratta di un inibitore della proteasi che è un enzima essenziale per la replicazione del virus. Il farmaco è capace di inibire il passaggio alle fasi successive dell’infezione. In analogia con i monoclonali e l’altro antivirale, il Molnupiravir, anche il Paxlovid attiene alla prima fase in cui prevale il virus e nel caso in cui ci sia il rischio si manifesti una forma grave della malattia. In base ai dati, sappiamo che Paxlovid previene nell’89 per cento dei casi il rischio ospedalizzazione. Per Molnupiravir, la percentuale era inizialmente al 50 per cento ma poi abbiamo visto che è stata ridotta al 30 per cento. Questi sono i dati dei trial, vedremo poi nella vita reale quale sarà l’impatto di queste due molecole.
Va ribadito però che il vaccino è l’arma principale?
Il farmaco è un’ottima notizia ma non sostituisce il ruolo essenziale e preventivo dei vaccini che vengono dati a chi non è ammalato. C’è una vecchia regola in medicina che dice: ‘prevenire è meglio che curare’. Questo nulla toglie alla validità del farmaco, ci dobbiamo infatti rallegrare per ogni aumento di conoscenza ma dobbiamo impedire che le persone si ammalino delle forme gravi. I vaccini in atto hanno un’ottima prevenzione ma non impediscono l’infezione. È ragionevole sperare che, laddove ci fossero dei vaccini aggiornati, prima dell’autunno prossimo, un richiamo possa rafforzare la risposta contro una nuova eventuale variante.
Prevede quindi un richiamo ulteriore in autunno?
Parlo sulla base delle evidenze: sappiamo che l’efficacia della vaccinazione primaria ha una durata d’efficacia di cinque mesi e non sappiamo quanto durerà la vaccinazione dopo la terza dose. Almeno in Italia, abbiamo un numero considerevole di soggetti colpiti da Omicron che sono per lo più non vaccinati o che avevano fatto una vaccinazione primaria oltre 120 giorni prima. Se, fra qualche settimana, riusciremo ad arrivare al periodo in cui, tolti i vaccinati e gli infettati, il virus avrà una platea ridotta di soggetti infettabili, credo che si potrà convivere con la pandemia. Durante l’autunno, per prevenire una eventuale e naturale recrudescenza di circolazione del virus, la somministrazione ulteriore di un vaccino aggiornato sulle varianti, unito alla vaccinazione antinfluenzale, potrebbe - ma il condizionale è d’obbligo - determinare una maggiore protezione. Non sappiamo se ci saranno nuove varianti ma questo è uno scenario plausibile.
Si aspetta una revisione delle misure anti Covid a breve da parte del governo Draghi?
Sì. Come era giusto stringere in passato, adesso sarebbe giusto aprire. Si chiama, dal punto di vista epidemiologico, un periodo di “hammar and dance”, cioè del martello e della danza, che è quello che abbiamo vissuto: un’alternanza di chiusure e aperture. Credo che tutto sommato siano state misure che hanno seguito i numeri. In una logica di progressività, ritengo sia importante prevedere di allentare progressivamente alcune misure.
In questo momento il suo reparto sta soffrendo?
No. Ci sono malati affetti da Covid ma con lo straordinario lavoro corale dell’intero ospedale riusciamo a gestire la situazione. Il Lazio è stato pesantemente colpito ma è chiaro che si intravede la luce. Mentre in tutte le ondate c’è sempre stato un incremento consensuale perché all’aumento dei contagi corrispondeva l’aumento dei ricoveri in terapia intensiva e delle morti, adesso a un incremento più forte dei contagiati abbiamo dei numeri contenuti.