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“Recenti fatti di cronaca hanno riportato all’attenzione il fenomeno dei matrimoni precoci che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non è prerogativa esclusiva di aree del mondo distanti da noi, ma rappresenta una questione che sempre più spesso investe anche il nostro Paese”.

 

 

 

Così l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, in una nota richiamando il recente fatto di cronaca venuto alla luce proprio in un comune del Nord Salento. “Promessa in sposa a 12 anni - scriveva ieri Matteo Caione su Avvenire -. Il futuro di una bambina, originaria di una famiglia italiana della provincia di Lecce, era stato ipotecato dalla mamma che aveva deciso il matrimonio della figlia con suo cognato, ovvero le nozze della piccola con il fratello minore del nuovo compagno: un pachistano con cui la madre, dopo essersi convertita all’islam, si era sposata nel Paese di origine dell’uomo”.

“A sbarrare la strada a questo percorso di vita deciso dalla donna - prosegue Avvenire - è stato il padre della ragazzina, anche lui salentino, che si è rivolto alla Procura e al Tribunale dei minorenni chiedendo e ottenendo la sospensione della potestà genitoriale della madre e il contestuale allontanamento della 12enne che è stata affidata ai nonni paterni”.

“Basta che anche una sola ragazzina sia costretta a sposarsi perché venga commessa una gravissima violazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza tutelati dalla Convenzione di New York”, sottolinea la Garante, aggiungendo che “il matrimonio minorile rappresenta una grave forma di violenza e produce effetti negativi sullo sviluppo fisico e psicologico, problemi nello sviluppo emotivo e spesso causa isolamento, abbandono scolastico precoce e impossibilità di raggiungere una piena autonomia. Per queste ragioni è fondamentale innanzitutto facilitare, anche attraverso il ricorso a mediatori culturali, la diffusione di informazioni sui diritti, sulle procedure di protezione e sui soggetti a cui rivolgersi per avere assistenza”.

Sulla questione, sempre su Avvenire, ieri era intervenuto indignato l’imam di Lecce Saifeddine Maaroufi: “‘La pratica dei matrimoni combinati, che avviene soprattutto in India e in Pakistan, nulla ha a che vedere con la fede islamica. Non conosco questa famiglia, ma si tratta di comportamenti - afferma Maaroufi - dettati meramente da questioni culturali e non dalla religione. Saluto per questo con grande sollievo la decisione dell’autorità giudiziaria che ha sospeso la potestà genitoriale a questa mamma che con tali atteggiamenti rappresenta un rischio per il futuro e la felicità della sua bambina. Una madre non può promettere in sposa sua figlia. È un illecito, ma anche un peccato. In questo modo vengono calpestati i diritti dell’infanzia che l’Islam - ribadisce l’imam - preserva e custodisce. I figli non sono merce di scambio su cui mettere un’ipoteca. C’è un versetto coranico molto chiaro: non c’è coercizione nella religione. E un matrimonio, come anche una conversione, non può essere mai imposto o deciso da altri. Anche se ci fosse consenso della bambina, si tratterebbe comunque di una violazione del codice morale della nostra religione, perché una 12enne non può avere consapevolezza e maturità per una scelta così importante. Queste decisioni sconsiderate che vengono compiute dai genitori sono dettate dalla cultura dei Paesi di origine, ma sono assolutamente contrarie alla religione islamica», rimarca Maaroufi’”.

 

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