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Ci si interroga spesso sull’umanità, sul buono o cattivo utilizzo dei media. Sono tante le domande che ci si pone dinanzi agli avvenimenti di ogni giorno.

 

 

 

Alcuni interrogativi non solo scuotono le coscienze ma sono veri e propri “pugni in faccia” come le domande che da un palco in Piazza Cesare Battisti, l'avv. Mario Aiezza, compagno di Camilla Di Pumpo, ha posto alla platea accorsa per ricordare la giovane scomparsa in seguito ad un terribile incidente.

Il fidanzato ha ricordato gli ultimi istanti di vita passati a guardare insieme il Re Leone, poi come ogni sera Mario e Camilla si sono salutati. La ragazza è salita in auto e una Audi nera con a bordo quattro ragazzi l'ha travolta a velocità sostenuta. Quella sera, racconta, "siamo scesi, si è messa in macchina, ci siamo salutati come ogni sera: ciao amore, ciao amore. Dopo 40 secondi si sente un botto, corro, in trenta secondi le hanno distrutto la vita".

Dopo l'incidente, i quattro ragazzi sono fuggiti. Un giovane vedendola per terra ha pensato bene di rubarle il cellulare mentre tutto veniva ripreso da un cellulare per postare l’arrivo dei soccorsi… senza nemmeno indugiare.

Che fine hanno fatto l’umanità, la solidarietà, l’empatia, si interroga il giovane avvocato.

Camilla era molto umana, amava la vita, l’amore, amare, aveva progetti. Camilla voleva vivere, non è giusto dire che il sacrificio di Camilla serva qualcosa. Spero che possa avere un senso nelle coscienze di ciascuno di noi” aggiunge Mario, che ha ricordato la prima volta che ha visto Camilla: “Io degli occhi di Camilla mi sono innamorato il primo giorno che li ho incrociati in tribunale, poi quando ho scoperto anche il sorriso, ero certo che avrei voluto che quella potesse essere la donna della mia vita”.

Una dichiarazione di amore insieme ad una profonda riflessione.

L’utilizzo dei social spesso inopportuni, che possono sfociare nell’oversharing, cioè la condivisione su internet di ogni minimo dettaglio della propria vita privata con una platea spesso conosciuta o sconosciuta poco importa, l’importante è che vi sia una platea virtuale immaginaria ed accondiscendente alla condivisione del momento.

Non importa se il momento è assolutamente inopportuno, come quello di una giovane vita agonizzante sulla strada.

Oppure lo scatto diffuso largamente sui social che ritrae il professore che si è dato fuoco, adagiato sulla lettiga, dentro l’ambulanza, gravemente ustionato e già sottoposto ad ossigenoterapia. L’immagine raccapricciante, catturata con uno smartphone, in breve tempo è approdata in decine di chat. Sempre un’altra foto, è stata "rubata" nel Pronto Soccorso e anche questa è stata incanalata sui social, senza alcuna pietà per il protagonista di questo dramma.

Silenzio e rispetto del dolore e della privacy, troppo spesso violata.

Abbiamo l’obbligo di ricordare che la vita non è un palcoscenico per stupide battute. Tutti abbiamo l‘obbligo di reagire.

Obbligo di educare. In un testo ampiamente diffuso, John P. Foley scriveva: “La diffusione di Internet solleva anche un certo numero di questioni etiche circa la riservatezza, la sicurezza e la confidenzialità dei dati, il diritto d’autore e la proprietà intellettuale, la pornografia, siti che incitano all’odio, la diffusione di pettegolezzi, di foto di cattivo gusto e di diffamazioni mascherati da notizie e molto altro”. Il buono dei social resta se ben utilizzato.

 

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