La guerra in Ucraina rischia di avere un effetto dirompente sulla sicurezza alimentare in tutto il mondo.
A lanciare l’allarme, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, nel suo intervento al Forum umanitario europeo, che si è concluso il 23 marzo scorso. Bruxelles, ha assicurato, «preparerà una serie di misure speciali per potenziare la produzione alimentare europea, anche a sostegno dei Paesi più bisognosi».
Un sos che «riguarda direttamente 50 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni che nel 2020 erano già gravemente malnutriti” è quanto afferma la direttrice generale di Save the Children Italia Daniela Fatarella.
La dipendenza internazionale dalle forniture di grano di Russia e Ucraina può avere un impatto drammatico su famiglie e bambini nelle aree già fragili. Basti pensare allo Yemen o alla Siria, martoriati rispettivamente da 7 anni e 11 anni di conflitto, o al Libano, dove le importazioni di grano sono legate per l’80% a Ucraina e Russia».
Proprio per questo, «bisogna fare ogni sforzo possibile per evitare conseguenze disastrose, fermando il conflitto e attivando misure mirate di sostegno ai Paesi e alle fasce di popolazione più vulnerabili in tutto il mondo».
Basti pensare che i prezzi del cibo sono già più che raddoppiati negli ultimi due anni e sono molte le famiglie che sono costrette a ridurre le porzioni o a saltare completamente i pasti.
Anche in Italia si iniziano a sentire i risvolti negativi. La guerra in Ucraina, infatti, ha un forte impatto sui costi sostenuti dalle aziende agricole italiane: a dirlo è un report del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), ente di ricerca italiano vigilato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali Secondo il report l’attuale crisi congiunturale può determinare in un'azienda agricola su dieci l'incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendole di fatto dal circuito: prima della crisi la percentuale era appena all'1%.
Di fronte a questa prospettiva, è auspicabile che si sappia rispondere con la stessa unità di intenti che ha consentito di limitare i danni economici e sociali della pandemia.