Se ne è andato a 73 anni, in questo disgraziato periodo fatto di fuoco, fiamme, lutti. Una laurea in Medicina a Milano (era nato a Sesto San Giovanni nel 1948), Gino Strada si era avviato verso la cura delle vittime della guerra attraverso la chirurgia traumatologica.
L’esperienza con la Croce Rossa nei luoghi della sofferenza per fame, guerre, carestie lo aveva colpito in profondità, e per questo aveva pensato ad un organismo mirato a alleviare quelle sofferenze e a salvare vite grazie anche, ma non solo, al personale medico specialistico. Prese così vita, 25 anni fa, Emergency, associata poi come partner alle Nazioni Unite.
Portato più all’azione che all’apparizione mediatica, suscitò qualche vespaio quando disse francamente che non c’erano stati approcci reali e pragmatici per il suo incarico di responsabile dell’emergenza Covid in Calabria, come a dire: non inseguo il successo e la fama, ma la realtà dei fatti e soprattutto la cura; se posso essere utile, volentieri. E su quella strada continuerà la sua creatura, come nelle dichiarazioni della presidente di Emergency, Rossella Miccio. A offrire la giusta misura del senso dell’operato di Strada sono stati probabilmente in due: la Caritas Ambrosiana - la sua è stata una vera, disinteressata, “per la cura dei feriti e delle vittime dei conflitti, in ogni angolo del pianeta” e David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo, che ha pubblicato la foto di Strada mentre cura un bambino.
Come nel caso del clima planetario e degli incendi, non c’è più tempo per le parole e le dichiarazioni diplomatiche; il fondatore di Emergency lo ha dimostrato con l’impegno costante verso gli ultimi, a rischio della sua stessa vita. Anche quando si è spinto con i suoi collaboratori in zone altamente pericolose, con il rischio di una raffica di mitra e via.
Per questa vocazione pragmatica, Strada non le mandava a dire, come nel caso della situazione della nostra sanità o della situazione politica in Somalia: “con gli Shabaab non si tratta”, ha riposto rassegnato a chi, in questo caso il Corriere della sera, gli chiedeva quali fossero stati i limiti invalicabili che aveva trovato nella sua opera.
Amico di gente come De Andrè, Umberto Eco, Noam Chomsky, è stato un protagonista del tempo, non della tribù dei chiacchierini, dei sorrisini a 360 gradi o delle parolacce fino a non respirare più, ma quello coraggioso del rischio di sparire senza lasciare traccia, se non nel cuore e nella memoria, andando a curare un bambino dall’altra parte del mondo, magari con quel governo che non ti vuole far entrare, o ti chiede soldi per farlo.