Negli Stati Uniti la Food and drug administration, l’agenzia del farmaco, ha da poco autorizzato la terza dose di vaccino anti Covid-19 per gli immunodepressi.
In Europa e in Italia non c’è ancora una direzione analoga ma il dibattito è aperto. Secondo Roberto Cauda, responsabile dell’unità di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma, sarà l’osservazione e l’andamento della pandemia a dirci cosa fare. “L’idea di fare un richiamo può essere giusta ma mi sembra prematuro parlarne adesso perché mancano ancora all’appello alcuni milioni di italiani alla vaccinazione”.
Professore, anche se l’agenzia del farmaco europea, l’Ema, per ora ha detto di no, secondo lei si farà la terza dose?
L’Fda ha appena autorizzato la terza dose per i soggetti fragili e gli immunodepressi. In Europa, l’Ema si è espressa dicendo che la distribuzione della terza dose è prematura. Esistono già dei lavori pubblicati su soggetti trapiantati che non avevano dato risposte alle due dosi di vaccino mentre, adesso, con la terza dose hanno avuto una soddisfacente risposta di tipo protettivo. Direi quindi che in questo momento potrebbe essere indicata per chi ha una condizione di fragilità o di immunoprotezione. Sul quando farla alla popolazione generale non è possibile sapere. Inoltre, non la chiamerei terza dose bensì richiamo e non è detto che debba essere fatta quest’anno o l’anno prossimo, può avere una scadenza pluriennale o biennale. Dipende da quanto dura l’immunità delle persone vaccinate e di chi non ha un deficit di natura immunitaria.
Come è possibile valutare l’immunità? Tramite un test sierologico?
No, non tramite il sierologico. Lo vediamo se le persone vaccinate sono protette o meno. Adesso c’è una protezione evidente. L’Fda il 18 maggio ha detto che esaminare gli anticorpi non è un mezzo attendibile per vedere se il soggetto ha una protezione perché gli anticorpi tendono a scomparire con il tempo oppure una persona che non ha anticorpi potrebbe essere protetta perché ha una buona immunità di tipo cellulare. Credo che sia l’osservazione e l’andamento della pandemia a dirci cosa fare. L’idea di fare un richiamo può essere giusta ma mi sembra prematuro parlarne adesso perché mancano ancora all’appello alcuni milioni di italiani alla vaccinazione. Prima vanno messe in sicurezza queste persone, coinvolgendo i medici di famiglia per informarli e convincerli a vaccinarsi. C’è un po’ di paura per questi vaccini che vengono a torto considerati sperimentali. Ma sono innovativi, non sperimentali.
Quindi sul quando somministrare la terza dose non possiamo ancora esprimerci?
No. Quello che però possiamo considerare è il prolungamento della validità del Green pass, al momento fissata a nove mesi dopo la seconda dose o sei mesi dopo la guarigione. Non entro nella questione giuridica o politica, ma dando per scontato che il Green pass sia una realtà con cui fare i conti, credo che si possa prevedere una validità di un anno o oltre per i vaccinati, visti gli studi scientifici pubblicati finora. Dobbiamo considerare che il virus ha generato migliaia di studi grazie ai quali la scienza sta andando a una velocità incredibile permettendo di prendere delle decisioni anche differenti rispetto a qualche mese fa.
Per una eventuale terza dose bisognerebbe usare lo stesso tipo di vaccino che si è fatto nelle precedenti due?
Israele al momento sta somministrando lo stesso vaccino anche per la terza dose. È una scelta corretta nell’ipotesi di usare un vaccino contro un virus che è servito da prototipo. Nel frattempo, però, si sono manifestate le varianti. Io terrei conto delle varianti e aggiornerei il vaccino. Altro aspetto che alcuni sollevano è che i vaccini a m-Rna per la loro potenza possono determinare una risposta infiammatoria e nel caso di una terza, quarta o quinta somministrazione possano aumentare gli effetti secondari. Siamo tuttavia nel campo delle ipotesi. Non c’è infatti ancora una sperimentazione su questo. Alcuni ipotizzano una vaccinazione eterologa. I richiami potrebbero essere fatti usando i vaccini antigenici oppure il vaccino cinese che determina una risposta verso tutto il virus e non solo contro i singoli componenti. Ci sono stati degli studi che hanno dimostrato una migliore risposta immunitaria in chi, malato o guarito, ha fatto a distanza un vaccino m-Rna, tanto che alcuni hanno ipotizzato che potrebbero essere protetti per tutta la vita. La spiegazione potrebbe essere che con la malattia questi soggetti hanno prodotto una risposta verso tutti i componenti mentre con il vaccino hanno prodotto una risposta a un componente come lo spike. Il problema è quindi molto complesso. Credo che non si possa determinare quale sia il vaccino migliore o peggiore perché semplicemente mancano ancora i dati.
Alcuni ipotizzano che gli anticorpi monoclonali possano essere alternativi al vaccino contro il virus. Cosa ne pensa?
Non credo che vaccinazione e cura con anticorpi e farmaci antivirali in avanzata fase di sperimentazione siano alternative ma ritengo siano complementari. L’anticorpo monoclinale serve a bloccare il virus nei soggetti malati non a prevenire l’infezione. Contro il Covid-19 ci muoviamo su due piani: uno, determinato dalla necessità di mettere in sicurezza i più fragili e dal raggiungimento dell’immunità di gregge, l’altro, nel caso probabile che la malattia diventi endemica, rappresentato dal fatto che ci siano forme di malattia in soggetti non vaccinati.
Vaccinazione per i bambini sotto i dodici anni: molti pediatri sarebbero a favore.
Già mesi fa dicevo che se si vuole l’immunità di gregge bisogna vaccinare i bambini. Non ho cambiato opinione ma è necessario che ci siano vaccini efficaci e sicuri. Ci sono almeno tre o quattro sperimentazioni in atto e dai dati preliminari sembra che stiano andando bene. Solo dopo il completamento delle fasi di sperimentazione e gli organismi internazionali di controllo che dovranno dare il loro placet si potrà fare una campagna vaccinale fra i più piccoli. Tutte le società pediatriche spingono per la campagna, perché è vero che i bambini non manifestano forme gravi ma nel caso delle varianti Alfa e Delta c’è stato un loro maggiore coinvolgimento. Più che la protezione delle forme gravi bisogna pensare di proteggere in termini di sanità pubblica perché i bambini sono una sorta di serbatoio e possono rappresentare un rischio per le persone fragili che non hanno risposto alla vaccinazione o indurre delle mutazioni. Parlo a livello nazionale e globale e penso che tutto quello che viene oggi ipotizzato troverà ampia conferma. Prevedo che la campagna vaccinale in età pediatrica non sarà facile perché penso che ci possa essere da parte dei genitori diffidenza verso un vaccino innovativo. Andrà fatta una attenta comunicazione, cercando di informare senza trascurare nulla.
Non prevede un obbligo per i bambini?
Non credo. Però prevedo un consenso deciso dei genitori e sarà necessaria una informazione attenta anche nella spiegazione dei rischi.