"L'impegno del cattolico nelle istituzioni è qualcosa di molto più serio degli slogan, delle frasi a effetto, dei buonismi e delle buone intenzioni. Non si misura neanche sul numero di messe cui assiste o di santuari cui ci si reca in pellegrinaggio”.
Lo ha dichiarato il magistrato leccese Alfredo Mantovano, vicepresidente del Centro Studi Livatino, ex sottosegretario del ministero dell'Interno ed ex parlamentare rispondendo ad alcune domande per un’intervista pubblicata nei giorni scorsi a Il Giornale a proposito dell’impegno dei cattolici in politica e nel sociale. Il contesto è chiaro: il leader dei 5Stelle, Giuseppe Conte si è dichiarato un cattolico democratico. “Ma le idee, le battaglie e l'atteggiamento dei pentastellati sono compatibili con la visione cattolica della politica e dell'impegno pubblico? Il giustizialismo ed una certa idea oltranzista di giustizia, ad esempio, sono previsti dalla dottrina sociale?”, si chiede Francesco Boezio, il giornalista che ha posto le domande a Mantovano.
“Intendiamoci - spiega il vicepresidente del ‘Livatino’ -, per un cristiano i sacramenti sono essenziali, ma appartengono alla sua sfera intima: per quella pubblica sono necessari gesti concreti. 'Non chi dice Signore Signore…' da sempre il magistero della Chiesa indica nella dottrina sociale cristiana l’insieme di principi di riferimento, di criteri di giudizio e di direttive di azione alla cui stregua orientare l’azione politica. È evidente la difficoltà di fronte alle scelte concrete e complesse che la vita quotidiana impone, ma sui fondamentali il margine di errore si riduce. Come insegna C.S. Lewis, 'i buoni conoscono sia il bene che il male. I cattivi non conoscono né l’uno nell’altro'. Il corretto discernimento è il punto di partenza ineludibile".
"Non è un caso - prosegue Alfredo Mantovano - se la Chiesa abbia di recente proclamato beato un magistrato, Rosario Livatino: non era mai accaduto in epoca moderna. Il che vuol dire che ha indicato un esempio di coerenza all’interno delle istituzioni. Da pm un giorno egli fu chiamato per un sopralluogo: un boss mafioso era stato ucciso. Davanti al cadavere l’ufficiale dei Carabinieri che accompagnava Rosario ebbe un moto di soddisfazione, all’insegna dell’uno in meno… Livatino lo fulminò, pur se l’ucciso era uno dei peggiori criminali della zona: 'Capitano - gli disse - di fronte alla morte chi crede prega, chi non crede sta zitto!'. Per Livatino anche l’autore dei delitti più gravi resta un uomo, la cui dignità esige rispetto. Fece aprire il suo ufficio di Ferragosto per far eseguire una scarcerazione, e a chi - non entusiasta di andare al lavoro proprio quel giorno - gli obiettava che, essendo festa, il termine scadeva il giorno successivo, lui replicò che era inimmaginabile tenere in carcere una persona anche solo 24 ore in più".
L’intervista entra poi nel merito di alcuni temi caldi al centro del dibattito attuale della politica come le questioni dell’eutanasia e della liberalizzazione delle droghe.
"La ferma contrarietà del cristiano all’eutanasia o alla droga 'legale' - sottolinea - non derivano da posizioni confessionali, ma dal rispetto per l’uomo. Quel rispetto impone di affiancare la sofferenza stabilizzando una malattia quando non è possibile guarirla, o ritardandone gli effetti quando essa avanza, o circoscrivendo il dolore con le cure palliative quando non esistano altre alternative; sempre garantendo una vicinanza affettiva, compassione vuol dire esattamente ‘patire con’". "Quel rispetto - precisa Mantovano - spinge a contrastare le occasioni di affievolimento di consapevolezza e di coscienza di sé derivante dall’assunzione di stupefacenti, e ad andare alla radice del disagio che talora spinge a uscire dalle responsabilità. Chi promuove la strada ‘facile’ della morte a richiesta e della droga accessibile senza ostacoli si pone in una dimensione antropologica radicalmente alternativa a quella naturale e cristiana".
E a proposito del ddl Zan sul quale i 5Stelle sono sulla stessa linea del Pd, ossia, nessun dialogo: "Anche di recente Papa Francesco ha messo in guardia dalla ‘colonizzazione ideologica’, espressione che egli adopera per qualificare l’ideologia gender e la sua imposizione nella cultura diffusa, e addirittura a scuola. Non si tratta di negare diritti, si tratta di arginare modelli liquidi, che fanno perdere di vista la natura dell’uomo, la profonda distinzione fra uomo e donna, nella eguale dignità e nel reciproco arricchimento. Si tratta di domandarsi quale futuro attende un corpo sociale cui opinion leader culturali e politici additano l’esemplarità di esistenze piene di "nuovi" diritti rivendicati e di doveri reali negati, di figli rifiutati, o all’estremo opposto comprati con la maternità surrogata, di anziani e disabili posti ai margini, in attesa del farmaco letale che assicuri la morte dolce".
"Chi intende orientare il proprio impegno nelle istituzioni alla luce della dottrina sociale della Chiesa - è la conclusione del magistrato salentino - non può eludere il quesito di come affrontare questo futuro: senza appuntare distintivi sulla giacca né vantare patetici collateralismi".