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“Io non ho firmato e se il referendum dovesse avere l’ok della Corte costituzionale e quindi portare gli italiani alle urne non andrò a votare”.

 

 

 

Luciano Squillaci da cinque anni è il presidente nazionale della Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict). È stato riconfermato al vertice poco prima che scoppiasse la pandemia; ha preso il posto di mons. Domenico Battaglia, definito “il prete di strada” per il suo lavoro con i più deboli e gli emarginati, dal 2020 arcivescovo di Napoli. La Fict è una grande realtà che ogni anno coinvolge nei propri interventi territoriali educativi oltre 40mila persone, con 3.500 volontari e famiglie.

Sul referendum sulla cannabis Squillaci non ha dubbi: “Il dibattito è abbondantemente stantio, in questo momento i problemi collegati alla droga sono altri, ben più gravi e complessi; andare a riaccendere un dibattito ideologico è anacronistico e pericoloso”.

Perché anacronistico e pericoloso?
Anacronistico e pericoloso perché siamo in una fase di preparazione della “Conferenza nazionale sulle droghe” che si terrà a fine novembre dopo 11 anni di attesa (riunisce tutti gli operatori del settore con il ministero e traccia le linee guida utili al Parlamento per modificare le leggi; dovrebbe tenersi ogni 3 anni ma l’ultima si è tenuta nel 2009 a Trieste) sulla quale puntavamo moltissimo per poter mettere mano, finalmente, alla legge quadro 309 del 1990 che tratta la parte penale e dei servizi contro le dipendenze da sostanze. Ormai la normativa ha 30 anni, ha fatto il suo tempo, è inadeguata rispetto alla mutazione velocissima del fenomeno. Riprendere in mano parte della legge con il referendum, provando a modificarla consentendo la coltivazione di 3-4 piantine di marijuana a casa propria è quanto di più sbagliato. Il settore ha bisogno di una riforma organica, che tenga conto di tutti elementi.

Cosa intende per riforma organica del settore?

La lotta alla sostanza è risultata fallimentare. Ogni anno in Italia censiamo oltre 100 nuove sostanze psicotrope. Basta cambiare una molecola, le droghe sintetiche sono all’ordine del giorno, abbiamo modalità di abuso differenziate, abbiamo droghe da tutto il mondo. Ecco perché è inutile ogni ipotesi di legalizzazione, depenalizzazione e liberalizzazione.

 

Come bisogna agire?

Bisogna rimettere al centro la persona. Il sistema si è sempre più tarato sulla riabilitazione, sulle strutture, sui servizi, sempre meno sulla persona. Bisogna avere il coraggio di sperimentare nuove metodologie di prossimità territoriali e renderle quanto più vicine ai bisogni dei singoli. Il referendum, poi, è un messaggio educativo sbagliato. Assistiamo ad una riduzione costante dell’età di primo uso, qualunque sia la sostanza. Non sono uno di quelli che dice che chi fa uso di cannabinoidi poi automaticamente passa alla eroina o al crack. Ma la cannabis fa male, ce lo dice la scienza e dare ai nostri ragazzi, sempre più giovani, la possibilità di “farsi” senza sapere bene che sostanza sia è un messaggio sbagliatissimo. Far passare il concetto “una canna è ok, cosa vuoi che sia” è assolutamente negativo. Non vale neanche il discorso “facciamo la lotta alla criminalità e alle mafie”. Io per la lotta alle mafie non sacrifico i miei ragazzi.

I dati più recenti sull’uso di cannabis che cosa ci dicono?

In Italia un adolescente su 4 fa uso di cannabis. È una sostanza utilizzata tantissimo. La cosa preoccupante è che gira molta “Spice”, la cannabis sintetica, estremamente dannosa. È facile dire “fa uso di cannabis” e poi magari è Spice.

Che messaggi educativi dobbiamo dare?

Dobbiamo dare messaggi educativi precisi, diretti e chiari. O torniamo ad investire in educazione, non in spot, o ci troveremo in forte difficoltà. E non perché abbiamo legalizzato o no la cannabis, ma perché si va in una direzione senza ritorno.

 

In Italia non si investe in educazione?

Negli ultimi 20 anni no. Se dobbiamo fare un referendum facciamolo per rimettere in piedi il Fondo antidroga per fare attività educativa nelle scuole e nei luoghi di aggregazione. È l’educazione a cambiare le cose, non le battaglie ideologiche.

 

Se passerà il referendum e vincerà il sì che cosa cambierà?

Non succederà nulla. Il problema sono l’abuso e gli stili di vita. Che sia dipendenza da sostanze, gioco o alcol – che fa più vittime della droga ed è pure legalizzato - serve lavorare su altro. Stiamo giocando a spostare le questioni per non affrontare quelle vere.

C’è molta confusione tra depenalizzazione, legalizzazione e liberalizzazione. Ci aiuti a fare chiarezza.
Il referendum sulla cannabis tratta solo la depenalizzazione. Nel caso specifico la piccola coltivazione di cannabis in casa - fino a 4-5 pianticelle - non sarà più reato e non ci sarà il ritiro della patente. Legalizzazione significa legalizzare la vendita, il commercio della sostanza all’interno di un sistema legale. Questo in Italia c’è già: la cannabis per uso terapeutico. La liberalizzazione è un altro discorso ancora, rende il mercato libero, l’utilizzo, la vendita e la somministrazione di cannabis senza un controllo particolare.

L’utilizzo di cannabis fa davvero male?

Non ci sono dubbi, ce lo dicono gli studi scientifici. L’abuso può portare disturbi neurologici, danni al sistema nervoso. C’è una percentuale importante di persone che ha conseguenze psicopatologiche. Anche l’alcol fa male. Qualunque sostanza che viene abusata può essere dannosa. La cannabis non è un alimento.

I fattori che portano una persona a “farsi” sono tanti. L’ambiente è uno di questi.

Gli studi ci dicono che c’è una predisposizione neurologica - non ereditaria - alla dipendenza. Una parte rilevante sta sicuramente nell’ambiente circostante. Infatti, nei servizi riabilitativi dei centri residenziali l’ambiente fatto di relazioni positive è un elemento di cura. Da una canna non si passa automaticamente all’eroina, ma tutti i tossici hanno fatto uso di cannabinoidi. Dobbiamo far stare bene i nostri ragazzi dando loro qualcosa per cui valga la pena appassionarsi. L’educazione non può essere tiepida, hanno bisogno di nero o bianco, le sfumature di grigio non le sanno cogliere ancora.

 

 

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