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Scriveva Emmanuel Lévinas che il volto dell’altro è l’atto che convoca l’essere umano a una responsabilità originaria dell’uomo verso l’altro uomo.

 

 

 

Il volto concreto della persona, le sue rughe, il suo sorriso, i suoi occhi, l’essere si manifesta come esteriorità e, soprattutto, si stabilisce il primato dell’etica, che è assunzione su di sé dell’altro, legame originario che dà senso al mondo.

La pandemia ha completamente rivoltato gli schemi concettuali con i quali eravamo soliti considerare la realtà. Il nascondimento del volto dell’altro, il cui accesso da quasi un anno è mediato da un dispositivo di protezione individuale, la mascherina, che abbiamo imparato essere fondamentale per preservare la salute, personale ma soprattutto degli altri.

Oggi è attraverso l’assenza del volto, il suo nascondimento, che esercitiamo la massima responsabilità verso l’altro, proteggendolo dal potenziale contagio del virus.

Può sembrare strano, ma avevamo perso la consapevolezza che il nostro comportamento, è determinante per tutti gli altri, per quelli che ci sono vicini ma anche per quelli che ci sono meno prossimi, vista la viralità del Sars-cov-2.

Ma c’è un mondo da imparare dietro gli sguardi, Quanto è cambiato il modo di guardarsi di accorgersi dell’altro in questi due anni. La mascherina è un impegno sociale perché protegge gli altri da noi stessi, innesca una nuova coscienza sociale. Non nasconde ma rivela, fa parlare gli occhi e non ci toglie la voce.

I medici, gli infermieri, lo sanno molto bene. Durante un intervento il dialogo con gli occhi di un’anestesista o di una strumentista sono decisivi, ti aiutano a tenere alta l’attenzione, ti danno forza.

La comunicazione affidata agli occhi ci obbliga a una maggiore attenzione verso l’altro a metterci più sensibilità, a cominciare dal riconoscerlo. Vale in sala operatoria, ma soprattutto vale al supermercato dove possiamo scegliere se ignorare chi è in coda con noi oppure provare a conoscerlo a cominciare anche da un buongiorno guardandosi negli occhi. Perché la comunicazione non si interrompe con la mascherina.

Se non è visibile un sorriso, saranno gli occhi a farlo, rassicurando o misurandosi con la persona che si ha di fronte. Ed è poi sempre la comunicazione non verbale. La mascherina è paradossalmente un limite più nel viverla quotidianamente che nella limitazione alla comunicazione.

Guardarsi negli occhi era diventato un atto ostile, generava imbarazzo. O peggio, erano sufficienti la fretta, lo stress, il ruolo per impedirci di vedere che quegli occhi stavano per mettersi a piangere o esplodere in un sorriso. La fastidiosa mascherina apre un nuovo orizzonte. Se vogliamo dialogare con qualcuno o sapere chi abbiamo davanti, quegli occhi dobbiamo guardarli per forza.

Quando tutto sarà finito, avremo imparato a guardarci negli occhi.

 

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