Siamo abituati a pensare che i lavori destinati a sparire nei prossimi anni a causa dell’intelligenza artificiale e robotica siano quelli meccanizzati, mestieri antichi che saranno velocizzati da innovazioni tecnologiche con la promessa di affrancare l’uomo dai compititi più ripetitivi e di offrire risultati precisi in tempi rapidi. sbagliavamo.
Dopo la linea di robot-buddisti del 2017 creata al fine di eseguire servizi funebri a un costo contenuto, nuovi funzionari del culto con scheletro d’acciaio hanno ora invaso alcune zone dell’Asia. Allora fu Pepper, un robot umanoide sviluppato dalla SoftBank Robotics che, giunto sul mercato giapponese già nel 2015, dopo essere stato utilizzato in banche, negozi di sushi e case di cura con il compito del receptionist, si è fatto officiante di funerali buddisti per i clienti che cercavano di ridurre i costi delle cerimonie. Ma Pepper non è rimasto solo a lungo, perché un nuovo sacerdote, di nome Mindar, ha da poco iniziato a praticare a Kodaiji, un tempio buddista di Kyoto. Come tutti i membri del clero, è in grado di tenere prediche e muoversi per interfacciarsi con i presenti: direzionando il suo corpo di alluminio e silicone. Progettato per assomigliare a Kannon, la dea buddista della compassione, il robot (che vale 1 milione di dollari) è parte di un progetto che mira a riaccendere la passione religiosa di chi, un tempo, era un devoto fedele, in un Paese in cui l’affiliazione religiosa sta registrando un rapido declino, e a incuriosire i più disinteressati.
Il team di Osaka creatore di Mindar, che per ora recita sempre lo stesso sermone programmato, sta lavorando per offrirgli capacità di apprendimento automatico, così da consentirgli di personalizzare le reazioni e le preghiere in relazione ai problemi spirituali specifici dei fedeli.
Padre James F. Keenan, gesuita e teologo moralista, chiamato a parlare ad un convegno organizzato dal Pontificio consiglio per la cultura, dal card. Ravasi, proprio sulle sfide dell’intelligenza artificiale, mette in guardia sui possibili sviluppi futuri. “Nell’intelligenza artificiale, siamo agli inizi. Le macchine lavorano con risultati straordinari, positivi, pensiamo alla robotica in medicina, alle attività produttive o alle funzioni gestionali e amministrative”. “Tutto questo tuttavia genera problemi di altro genere, etici. La vera domanda è: come ci si deve comportare davanti a questa intelligenza artificiale forte, dotata di capacità decisionali autonome, di fronte ad eventuali scenari che le si parano davanti e i cui confini devono essere definiti dalla macchina stessa con una decisione che può influire anche su creature umane? Questa è una questione che dovrà essere affrontata. L’algoritmo aperto permette infatti alla macchina di avere un’autonomia di scelta che pone risvolti di tipo etico”.
“Noi uomini di chiesa e di cultura dobbiamo lanciare un appello perché l’uomo entri in questo particolare settore, mettendo assieme due realtà diverse, affinché ci sia una risposta veramente umana per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale”, ha detto in conclusione il card. Gianfranco Ravasi, che per esemplificare tutto questo si è avvalso, nella parte finale del suo discorso, degli esempi forniti dal Mahatma Gandhi da un lato e da Steve Jobs dall’altra. Secondo il primo infatti “l’uomo si distruggerà con sette cose: politica senza principi, ricchezza senza lavoro, intelligenza senza sapienza, affari senta etica, scienza senza umanità, religione senza fede, amore senza sacrificio di sé”. Quanto a Steve Jobs il discorso citato da Ravasi, per esemplificare la necessità di unire dimensioni differenti, è quello pronunciato nel 2005 ad Harvard, quando il cofondatore di Apple parlò dell’ingegnere rinascimentale Leonardo da Vinci e disse: “La tecnologia da sola non basta è il connubio tra la tecnologia e le arti liberali, è il connubio tra la scienza e l’umanesimo a darci quel risultato, l’unico possibile, che ci fa sorgere un canto dal cuore”.
Antonio Murrone