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Martedì, 14 marzo, presso l'aula Aldo Moro del dipartimento di giurisprudenza dell'Università di Bari si svolgerà il convegno “Sulle sponde del Mediterraneo. Teologia e prassi di dialogo, di inclusione e di pace”, promosso dalla Facoltà teologica pugliese dall'Università di Bari e dall'arcidiocesi di Bari-Bitonto e dallo stesso Ateneo barese.

 

 

 

Don Vito Mignozzi, preside della Facoltà teologica pugliese, ospite del podcast di Vaticanews, “La finestra del Papa”, a grandi linee, presenta l’iniziativa (SCARICA IL PROGRAMMA).

 

 

Preside Mignozzi, perché avete scelto questo tema per il convegno di martedì?

Si tratta di un tema che abbiamo costruito dopo un cammino che in questi anni abbiamo provato a compiere come Facoltà teologica pugliese precisamente a partire da quell'incontro che c'è stato a Napoli nel giugno del 2019 con la presenza di Papa Francesco e dalla Costituzione apostolica “Veritatis Gaudium” sulle università ecclesiastiche. Tutto è partito da lì, interrogandoci su cosa possa significare per noi fare teologia in un contesto che è quello che si affaccia sul Mediterraneo e che cosa significa offrire un servizio che favorisca processi di pace, processi di dialogo, processi di inclusione. È un convegno che abbiamo voluto collocare anche in un luogo diverso rispetto agli spazi della nostra Facoltà: andremo a svolgerlo, infatti, nella Università di Bari col desiderio proprio di non restare chiusi in una riflessione teologica e di provare a dialogare con i luoghi della cultura e con coloro che formano le nuove generazioni.

 

 

In che maniera verrà trattato il tema del convegno?

La mattinata di martedì avrà una connotazione più teologica e, quindi, approfondiremo soprattutto la prima questione, cioè: cosa significa pensare la fede senza trascurare il contesto in cui i credenti vivono oggi, in questo caso il contesto del bacino del Mediterraneo? Qual è, dunque, la missione di una facoltà teologica rispetto a questa sfida? Il pomeriggio, invece, è dedicato ad una tavola rotonda ed è in quell’appuntamento che proveremo a dialogare - con coloro che sono i nostri “ospiti” - su come Bari possa diventare un modello di inclusione, per ‘ricostruire’ città che siano sostenibili e per produrre e far crescere i nuovi modelli di pace nel Mediterraneo.

 

 

Come dovrebbero essere, secondo lei, le città sostenibili?

Prima di tutto, città che siano a misura di uomo e siano città che sappiano praticare prassi di dialogo, prassi di accoglienza, prassi di inclusione, e siano capaci anche di eliminare forme di ghettizzazione. Città che siano capaci anche di una progettualità intergenerazionale. In definitiva, città che rendano dignitosa la vita dell'uomo nonostante tutta la complessità con la quale oggi la vita fa i conti. Per questo abbiamo bisogno di metterci insieme per poterle pensare e progettare.

 

 

Don Vito, quanto è importante oggi - con le tante situazioni che viviamo - parlare di inclusione e di pace tra i Paesi del Mediterraneo?

Questa è una grande sfida e, del resto, anche gli ultimi fatti accaduti sulle coste della Calabria provocano fortemente la nostra riflessione. Una riflessione che oggi, in particolare, la Chiesa compie per obbedienza al Vangelo: non è un fatto nuovo questo approccio ma, in qualche modo, oggi se ne riscopre la forza profetica. Si tratta sempre di un annuncio che parte proprio dal Vangelo e che vorrebbe in qualche modo essere come un seme in questo tempo e in questa società, per dire che l'altro è fratello, che l'altro non è nemico, che l'altro è una persona con cui posso condividere la mia storia, e con la quale posso mettere a disposizione quello che ho e quello che sono. Un annuncio che induce ad accogliere la diversità e la ricchezza che dall'altro mi proviene. Di qui l’attualità del tema del nostro convegno che ha bisogno di essere - lo ripeto - declinato in una concertazione di pensiero e anche di forze: per perseguire alcuni obiettivi e percorrere certe strade - come insiste il Papa - dobbiamo diventare inclusivi. È proprio questa è la questione: la pace non si costruisce da soli. La pace ha bisogno di persone che siano desiderose di spendersi e di farlo con le proprie competenze e con i propri valori. Ma che acquisiscano anche una concezione dell’uomo e della vita che affermi, una volta per tutte, no alla guerra e a ogni forma di violenza.

 

 

Bari è al centro del Mediterraneo. Lo stesso Papa Francesco volle celebrare tre anni fa nel capoluogo pugliese l'importante incontro con i vescovi e i patriarchi del Mediterraneo. “Mediterraneo frontiera di pace”: quali sono stati i frutti di quell’incontro che poi si è ripetuto in forma differente a Firenze?

Papa Francesco ci ha lasciato una eredità importantissima in quell'incontro. È una eredità che appunto stiamo cercando di valorizzare. Tanti di noi, destinatari di quell'invito e di quella consegna, proviamo a ritrovarci. E questo è anche il senso dell’organizzazione della tavola rotonda del pomeriggio del 14 marzo. Non vogliamo che quell’evento di tre anni fa si perda nella memoria; vogliamo invece rilanciarlo aprendo un solco di lavoro, un solco di impegno che si materializzino in scelte concrete da compiere insieme: una sorta di ri-consegna della consegna del Papa. Aver scelto Bari per celebrare il convegno e continuare la riflessione, non è un dettaglio trascurabile. Bari ha una tradizione singolarissima che ci aiuta a costruire, ancora meglio, frontiere di pace: mi riferisco a San Nicola e alla sua basilica; a come la figura di San Nicola e il suo messaggio rappresentino davvero un ponte tra l'Oriente e l'Occidente. Il convegno diventa, dunque, un ulteriore invito a progettare ponti e a costruire itinerari permanenti che facilitino il dialogo.

 

 

 

 

 

 

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