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Marsiglia segnerà un ulteriore spazio di speranza dove poter scrivere un nuovo passo verso quella fraternità fondata su una cultura dell’incontro e dell’accoglienza capace di ricordare agli uomini il loro desiderio universale di umanità”.

 

 

 

Ne è convinto monsGiuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto, che ieri, all’inizio della prima giornata di lavoro dei 70 vescovi - la quarta dei 70 giovani - al Palais du Pharo di Marsiglia interviene ai Rencontres Méditerranéennes insieme ad altri quattro vescovi in rappresentanza delle cinque rive del Mediterraneo per tracciare un affresco dei rispettivi Paesi da cui provengono. Da Bari a Marsiglia, passando per Firenze, “costruire politiche sane di accoglienza”, come ci chiede Papa Francesco, resta la via maestra per un futuro di pace di cui siano protagonisti i giovani: “Nei loro occhi ho letto una speranza ma anche una determinazione a fronteggiare una cultura dell’indifferenza che porta inesorabilmente alla paura dell’altro”, ci rivela l’arcivescovo.

Quello di Marsiglia è il terzo appuntamento dei vescovi del Mediterraneo. Il pensiero corre subito a Bari, dove tutto è cominciato per iniziativa della Conferenza episcopale italiana. Come descriverebbe oggi il clima tra i vescovi del Mare Nostrum, a quasi quattro anni da quell’evento?

Fraterno e concreto, ricco di speranza. Ritrovarsi in un confronto che abbracci tutte le sponde del Mediterraneo è opportunità di grazia per la nostra gente, per l’umanità. Bari, definita da Papa Francesco, nel nome di San Nicola, “capitale dell’unità della Chiesa”, è stata sede per la prima volta di un incontro che oserei definire profetico. Vedere per la prima volta i vescovi delle Chiese del Mediterraneo e non solo, tutti insieme, è stato un chiaro invito a costruire la pace e la concordia in questa “zona strategica, il cui equilibrio riflette i suoi effetti sulle altre parti del mondo”. Anche qui a Marsiglia, parlare di Mediterraneo è parlare di popoli, di sviluppo sostenibile, di un “pensiero meridiano” capace di guardare oltre, nutrendo i vissuti e orientandoli ad una convivialità delle differenze, come affermava un uomo del Sud, il vescovo profeta don Tonino Bello.

“La guerra è follia”, aveva detto  Papa Francesco a Bari esportando ad “agire come instancabili operatori  di pace”. Quale traccia hanno lasciato queste parole e quali gli auspici per proseguire il cammino qui a Marsiglia, dopo una pandemia e nel mezzo di una guerra che continua ad insanguinate l’Europa?

Il Papa ci guida con instancabile determinazione. Marsiglia segnerà un ulteriore spazio di speranza dove poter scrivere un nuovo passo verso quella fraternità fondata su una cultura dell’incontro e dell’accoglienza capace di ricordare agli uomini il loro desiderio universale di umanità.

È la prima volta che vescovi e giovani lavorano insieme. Quali le loro urgenze e “provocazioni” da raccogliere?

La prima in riferimento al Mediterraneo ma non la prima in assoluto. Marsiglia ha molto puntato su questo aspetto. Credo sia opportuna questa scelta. Come il Papa afferma nella “Christus Vivit”, essi sono “l’adesso di Dio”, ovvero portano con sé il sogno di Dio, un sogno ricco di audacia e amore capace di aprire cammini. Un piccolo gruppo l’ho incontrato a Bari, in questo cammino per alcune delle sponde del Mare Nostrum, che loro hanno chiamato il “pellegrinaggio del Mediterraneo”. Nei loro occhi ho letto speranza ma anche determinazione a fronteggiare una cultura dell’indifferenza che porta inesorabilmente alla paura dell’altro. Un’impressione positiva e ricca di speranza per il futuro di tutti.

 

 

Il Papa al termine dell’Angelus di domenica scorsa ha parlato del fenomeno migratorio come sfida che “va affrontata insieme”. Come promuovere tra i Paesi del Mediterraneo parole come accoglienza, collaborazione, integrazione?

Proprio in questi giorni mi tornata sotto gli occhi un’affermazione dell’Abbè Pierre: “Bisogna amare le porte perché sono il posto dove nessuno si ferma, il posto dove si passa, da dove si parte, dove avvengono tutti gli incontri”. Imparare ad abitare spazi vuoti, liberi dall’ipertrofia dell’io, spazi umili e non prepotenti, è questa la strada che potrà aiutarci a guardare oltre per costruire politiche sane di accoglienza e soprattutto una cultura che rispecchi quell’umanesimo di cui trasuda il Mediterraneo.

 

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