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Emozione, commozione, orgoglio. Sono state queste le emozioni forti che si sono respirate e condivise nella sezione degli arbitri di calcio di Lecce che da ieri porta ufficialmente il nome di Daniele De Santis.

 

 

Daniele e la sua compagna Eleonora sono stati brutalmente uccisi il 21 settembre del 2020 nella loro nuova casa a Lecce, lasciando un grande e doloroso vuoto oltre che nella sua famiglia, anche in quella degli Arbitri di calcio a cui è appartenuto e in cui è cresciuto. Ma ha lasciato di conseguenza un fortissimo senso di orgoglio e appartenenza per uno sport che non è solo fine a se stesso, non si vince o si perde, ma si fa squadra per portare sui campi di calcio, dai più piccoli a quelli più importanti a livello nazionale, il principio del rispetto delle regole, e quindi della giustizia e della pace, principi e valori a cui Daniele aveva dedicato tutta la sua vita, oltre che la sua passione per il fischietto.

Non è quindi un caso se tutta la comunità arbitrale leccese e non solo hanno voluto intitolare a Daniele la propria sezione, la sede degli arbitri dove si vive la preparazione tecnica ma anche umana di ogni singolo arbitro che la domenica scende sui campi da calcio in nome di una passione e di principi sportivi veri.

“Siamo qui non per pregare i defunti, ma per fare viva memoria!” ha affermato con fermezza l’arcivescovo Michele Seccia che ha aperto la cerimonia di intitolazione con la messa dedicata a Daniele nella chiesa di San Massimiliano Kolbe, vicino allo stadio “Via del Mare” di Lecce. “Siamo troppo abituati a pregare in suffragio di un defunto, ma non in certi casi a trarne insegnamento vivo che guardi al futuro di ognuno di noi - ha poi continuato Seccia - la vicenda di Daniele ed Eleonora ha tanto da farci riflettere per portarli vivi e saldi dentro di noi. L’invidia per la felicità e il benessere sono quasi all’ordine del giorno nella nostra società odierna”. Il vescovo poi si è soffermato sul concetto della teologia del fallimento: “La nostra fede si fonda su un fallimento. Un uomo non compreso, scomodo e messo a morire nel modo più atroce e tremendo. Lo adoriamo li appeso nudo e morto su una croce. Da quella croce nasce l’insegnamento più grande, l’amore. Sia questo per tutti la morte di Daniele ed Eleonora, non solo un fallimento che è normale non riuscire ad accettare e comprendere, ma un principio di vita e amore vero.”

Presenti alla celebrazione quasi un centinaio di associati all’Aia, dai giovanissimi ragazzi, agli arbitri a livello nazionale fino a tutti i dirigenti sportivi: il presidente leccese degli arbitri Paolo Prato, promotore dell’iniziativa, il presidente nazionale dell’Aia Alfredo Trentalange, il presidente regionale Nicola Favia, il presidente regionale della Figc Vito Tisci, il procuratore aggiunto della Repubblica Elsa Valeria Mignone, che ha avuto un ruolo fondamentale nelle indagini sull’omicidio, e infine i genitori di Daniele da sempre ormai presenti con affetto alla vita degli arbitri leccesi.

La cerimonia si è poi spostata proprio alla storica sezione degli arbitri in via Marinosci a Lecce, dove, il presidente Prato, insieme al padre di Daniele, hanno scoperto la nuova targa all’ingresso accolta da un lunghissimo e commosso applauso davanti alla grande immagine di Daniele in divisa arbitrale che da oggi accoglierà chiunque entrerà nei locali sezionali.

Hanno poi preso parola il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, e l’assessore allo sport, Paolo Foresio, che hanno ringraziato a nome dell’amministrazione tutto l’impegno dedicato da parte degli arbitri leccesi per fare memoria di un atleta e di un cittadino esemplare. A seguire il procuratore Mignone ha ricordato i giorni delle indagini sull’omicidio di Daniele, ricordando le notti in bianco di tutti gli inquirenti per trovare al più presto una risposta a un evento che aveva sconvolto tutta la comunità leccese e non solo. In diretta video-online da Roma ha partecipato anche il presidente del Lecce, Saverio Sticchi Damiani, che ha voluto raccontare come la conoscenza dei genitori di Daniele, dopo la trista vicenda, lo ho portato a conoscere un mondo arbitrale diverso e che va oltre i 90 minuti in campo dove, da presidente e tifoso, ci si limita a commentare e accettare le decisioni, ma scoprendo che dietro a ogni arbitro c’è un vissuto personale e una preparazione che continua anche dopo il “triplice fischio” in campo.

Infine, il presidente nazionale degli arbitri Trentalange, evidentemente commosso dal momento più unico che raro per la vita sportiva e arbitrale, si è soffermato su come l’associazione, proprio in questi casi straordinari, si ritrovi a essere non tanto un gruppo di associati o di sportivi, ma una vera e propria comunità, una comunità di persone e cittadini che fondano la propria attività e il proprio credo sui principi di giustizia e di pace. “In campo noi tutti scendiamo e siamo scesi non solo per essere criticati da chi ovviamente subisce le nostre decisioni, ma, tramite il nostro fischio ‘scomodare’ il concetto di giustizia per una scorrettezza avvenuta in campo per poi dar valore alla pace, che forse deve essere ed è il principio fondante di tutto lo sport nel mondo. Daniele ha dato valore a questo principio con tutta la sua vita”.

Daniele è diventato arbitro nel 2004, nel 2016 divenne arbitro nazionale e nel 2021, dopo la sua scomparsa, è stato promosso arbitro di serie A alla memoria, proprio come riconoscimento non solo di un “sogno inseguito tutta la vita”, come ha ricordato il papà Fernando, ma di un’esistenza intera spesa con umiltà, con il sorriso, per i suoi amici, la sua famiglia e il suo amore Eleonora con cui da oggi sarà l’esempio vivo per proseguire e correre sui campi da calcio.

 

 

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