Don Riccardo Calabrese, originario di Campi Salentina e sacerdote dal 2014, ha quasi trent’anni. Mentre vive questi mesi in attesa di trasformarsi in un campo di grano maturo, si prepara anche a diventare parroco per la prima volta.
Alla vigilia del suo ingresso ufficiale nella parrocchia di Sant’Antonio Abate a Carmiano siamo andati a conoscerlo meglio e a chiedergli come sta vivendo questo momento così importante della sua vita.
Don Riccardo, parlaci un po’ di te. Perché hai scelto di diventare sacerdote? Puoi raccontarci brevemente com’è nata la tua vocazione?
La mia vocazione è nata senza dubbio in famiglia perché è proprio lì che, sin dall’inizio, ho intrapreso il mio percorso di fede. I miei nonni e i miei genitori, grazie al loro impegno diretto presso la mia comunità parrocchiale d’origine, mi hanno dato la possibilità di vivere da vicino il rapporto con la Chiesa e con Dio. Ci sono poi stati quei sacerdoti incontrati durante il mio cammino, alcuni dei quali oggi non ci sono più, che mi hanno insegnato davvero la fedeltà e la bellezza dell’essere prete. Ho scelto di entrare in seminario alla fine della terza media e quelli sono stati anni belli e formativi ma ho capito cosa significa davvero essere prete solo gradualmente: all’inizio sembrava tutto bello perché mi piaceva quello che facevano i preti; dopo ho capito che non si trattava solo di fare qualcosa che la gente può vedere dall’esterno: ho scoperto che c’era qualcosa di molto più profondo. Durante gli anni vissuti a Molfetta ho maturato una decisione più seria e questo anche grazie ad alcune esperienze che ho vissuto come seminarista come quella presso il carcere di Trani o nelle varie parrocchie di pastorale che ho visitato. Lì ho davvero scelto non solo di fare il prete, ma anche di esserlo, ed è ciò che sono ormai da qualche anno.
Domani ci sarà il tuo ingresso ufficiale nella comunità di Sant’Antonio Abate e questa è per te la tua prima esperienza da parroco. Come ti senti?
Da un lato sono molto emozionato perché per me è la prima volta, dall’altro lato non nego di essere anche abbastanza spaventato proprio per lo stesso motivo. Se finora ho sempre affiancato gli altri sacerdoti nelle varie responsabilità parrocchiali, adesso mi ritrovo io stesso a guidare una comunità. Si tratta ovviamente di una comunità con tutti i suoi bisogni, le sue gioie e i suoi dolori… una comunità che abbraccia tante persone diverse, dal più piccolo, che sarà battezzato tra qualche giorno, al più grande, pilastro e punto di riferimento. Quindi sì, c’è un po’ di paura nell’intraprendere questo nuovo cammino ma credo che si tratti di un timore sano che mi consente di procedere con calma e con le orecchie tese, in ascolto dei bisogni della comunità.
Anche se in maniera non ufficiale sei qui a Sant’Antonio già da qualche giorno: quali sono le tue prime impressioni riguardo a questa comunità e cosa ti senti di dire ai tuoi nuovi parrocchiani?
In questa prima settimana ho ascoltato quasi tutti i responsabili dei gruppi parrocchiali chiedendo loro ciò che è stato fatto fino ad adesso e ciò che, secondo loro, ancora si può fare. La cosa più bella è che in tutti c’è una voglia di continuare, di andare avanti e di mettersi al servizio per costruire insieme il futuro di questa comunità. Mi sono trovato di fronte una comunità abbastanza giovane e piena di voglia di fare ed è proprio questa la grande bellezza che ho trovato e che mi ha colpito molto. Quello che mi sento di dire ai miei nuovi parrocchiani è di andare avanti, di puntare in alto in tutto quello che faremo insieme. È ovvio che da solo non potrò concretizzare nulla ma se ci sarà la collaborazione di tutti credo che potremo realizzare i grandi progetti che il Signore metterà lungo il nostro cammino.
Quanto ti porterai dietro delle tue esperienze precedenti sia come vicario parrocchiale che come cappellano del carcere? Cosa ti hanno insegnato e come credi di poter mettere a frutto ciò che hai ricevuto in questi anni?
Nell’esperienza parrocchiale ho visto cosa significa mettersi al servizio grazie all’esempio di don Gerardo che è stato il mio parroco di sempre: con lui sono entrato in seminario, sono diventato prete e infine sono stato suo viceparroco a Lecce, nella parrocchia di San Giovanni Battista. Anche don Carlo è stato per me un esempio prezioso: l’ho conosciuto inizialmente come rettore in seminario e poi sono stato suo vicario nella parrocchia di San Sabino a Lecce. Da queste figure ho cercato di “rubare” qualcosa e sono sicuro che il loro esempio mi sarà d’aiuto nelle mie scelte future. Saranno importanti anche tutti quei successi raggiunti nelle comunità in cui ho prestato servizio ma anche tutti gli insuccessi e i fallimenti che mi hanno insegnato a crescere: ogni errore offre sempre l’occasione per ricominciare e fare meglio.
Anche quest’ultimo anno in carcere mi ha insegnato molto, mi ha insegnato soprattutto cosa vuol dire fare la carità ed essere uomini di carità; ho imparato ad ascoltare le persone, anche quelle che vivono dei momenti difficili perché private della loro libertà e lontani dalla famiglia. Il carcere mi ha insegnato ad essere molto più umano nei rapporti con le persone.
Come ultima domanda ti vorremmo chiedere se hai già in mente qualche iniziativa per questa comunità e, da giovani, vorremmo sapere quale posto occuperemo noi nei tuoi progetti futuri?
Certamente posso dirvi che come giovani occuperete un posto di rilievo, ovviamente dico questo senza voler escludere nessuno: penso che se una comunità non guarda ai giovani è una comunità che non può costruirsi un futuro. Ma è anche vero che tutto ciò che i giovani saranno lo potranno imparare dagli adulti che sono per questo un pilastro insostituibile. Insieme a voi cammineremo per costruire il futuro della parrocchia di Sant’Antonio Abate. Per quanto riguarda idee e progetti posso dirvi solo che in questo momento mi trovo nella fase dell’ascolto: ho bisogno di capire di cosa ha davvero bisogno questa comunità. Le idee ci sono e sono tante ma nello stesso tempo mi rendo conto che si tratta solo delle mie idee che alla comunità potrebbero anche non servire. Sarà soltanto camminando insieme che scopriremo ciò che sarà possibile realizzare.
Ringraziamo don Riccardo e gli auguriamo di continuare ad innamorarsi di Cristo insieme a noi in questo nuovo cammino nella comunità di Carmiano.