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Nella chiesa del cimitero di Lecce dedicata ai SS. Niccolò e Cataldo, le comunità parrocchiali cittadine di San Francesco d’Assisi, San Massimiliano Kolbe, San Giovanni Battista e San Sabino, l’altro giorno, hanno commemorato i loro cari defunti ritrovandosi insieme come parrocchie della stessa zona vicariale.

 

 

 

Un pellegrinaggio atteso e sentito nel cuore del cammino del Sinodo, per riflettere sul medesimo vissuto, il nascere ed il morire, che accomuna ciascun uomo e donna della terra.

Ha presieduto la santa messa e tenuto l’omelia don Daniele Fazzi, che guida la comunità di San Francesco d’Assisi, e hanno concelebrato don Gerardo Ippolito, parroco di San Giovanni Battista, e don Antonio Murrone, parroco di San Massimiliano Kolbe.  

“Avendo persone care che adesso sono al cospetto del Signore - ha detto don Daniele nell’omelia - siano esse genitori, familiari, amici, è umano percepire la loro mancanza incolmabile, anche nonostante il passare del tempo, perché ne rimane il legame e l’affetto, ma per fede siamo incoraggiati a guardare tutto nell’ottica di Dio. Sappiamo che esse sono nelle Sue mani e nessun tormento oserà toccarle, benché il momento del distacco appaia una sciagura, per cui neppure la fede sembra poter reggere al dolore. Esse, però, sono nella pace”.

Ci si chiede il perché della loro dipartita, ma “È bello pensare alla città del cielo - ha proseguito il parroco di San Francesco d’Assisi - come ad un giardino, dove sono i fiori più belli, le persone che hanno lasciato la buona testimonianza, lo hanno amato davvero e cercato. È una ricchezza, un tesoro che i nostri cari defunti siano in Dio, perché pregano e intercedono presso il Padre, vigilando su noi”.

Infatti, spiritualmente sono presenti con amore e forza: pertanto- ha continuato il sacerdote -, “bisogna credere nella comunione dei santi, la preghiera che travalica i luoghi, che raggiunge i cuori e tocca le anime anche più lontane. Occorre essere fiduciosi nella resurrezione dei morti alla fine dei tempi e, oggi, nella loro compartecipazione a questa celebrazione eucaristica, celeste per loro, terrena per noi”.

È un ricordo perpetuo, perché la gratitudine non viene mai meno. “C’è una gioia - ha concluso don Daniele - che dovremmo attestare da credenti, con un atteggiamento più sereno rivolto alla morte, verso cui tutti siamo incamminati. Non dobbiamo coltivare la paura di essa, ma avere la gioia di poter incontrare il Signore per contemplarlo volto a volto e, soprattutto, nutrire la speranza nella risurrezione, nell’eternità, nella vita beata”. È, però, di sicuro un cammino graduale e interiore per ereditare quanto il Signore ha promesso e credere che un giorno saremo tutti insieme là dove Egli è.

 

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