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Domani, alla presenza di mons. Michele Seccia, don Giuseppe Spedicato sarà ufficialmente insediato come parroco nella comunità parrocchiale Maria SS. Assunta di Monteroni di Lecce. Ecco i suoi pensieri nell’immediata vigilia della cerimonia d’ingresso.

Don Giuseppe, quale risonanza hai provato nel tuo animo nel diventare responsabile della Comunità Parrocchiale nella quale sei cresciuto e che conosci nelle sue diverse componenti?
Sono grato al Signore per questa grande dono e al mio vescovo per la fiducia accordatami … sinceramente, non mi aspettavo questo nuovo incarico dopo appena quattro anni di impegno pastorale nella Comunità parrocchiale del Sacro Cuore, ma nella mia vita sacerdotale so bene che la “provvidenza divina” bussa alla porta del cuore quando meno te l’aspetti, quindi con il cuore trepidante e pieno di emozione mi accingo ad iniziare questa nuova esperienza. Certo fino a qualche giorno fa a tutto potevo pensare tranne che… celebrare il mio “giubileo sacerdotale” nella comunità in cui sono nato, cresciuto e sono stato ordinato sacerdote…  che bel regalo mi ha fatto il Signore… da qui l’impegno di entrare nella mia comunità parrocchiale sforzandomi di servire e amare tutti nel nome del Signore.

 Hai già delineato alcuni obiettivi pastorali per i quali intendi particolarmente impegnarti in questo primo anno?
“Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato ? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore!” (Sl. 115). Mi appresto a dire poche parole partendo proprio da questa espressione del Salmo: “alzerò il calice della salvezza!”. Che cosa vorrei, cosa sogno, che cosa desidero? Che questa comunità ed io come suo parroco, in questo momento fosse innalzata! Questo innalzamento sarà possibile se ci lasceremo guidare da alcuni registri: anzitutto il registro dello Spirito Santo, poi il registro della qualità delle relazioni, ed ancora il registro della gratuità. Tutti questi tre registri sono, si manifestano, si esprimono nell’Eucarestia: lì è il modello del nostro essere, del nostro agire, del nostro vivere, del nostro testimoniare la nostra esperienza cristiana, in cui il termine “cristiano” non è semplicemente un aggettivo che si aggiunge alla nostra vita ma è l’essere come Cristo, nel fare quello che lui ha fatto. Ho poi un sogno, un desiderio che ritengo importante, una testimonianza dovuta a coloro che ci osservano e magari in chiesa vengono di rado. Essi vogliono vedere da noi una qualità di relazione che non è semplicemente dettata dalla simpatia, dai favori, dall’interesse ma unicamente dall’amore, dal rispetto, dall’essere tutti e sempre come il buon samaritano che si prende cura, che è capace, come ci insegna il Vangelo, non di amare perché sei amato ma di amare per primo, di amare senza ritorno, di amare senza interessi, di amare tutti, di amare nonostante tutto, di amare il tutto. In tutta franchezza vorrei dirvi che ho intenzione di fare il parroco e non altro, ad ognuno il suo compito! Sarò perciò, colui che aiuterà a vivere nella comunità le relazioni. E questo mi impegna a mettermi in ascolto, come ho fatto fin dal primo giorno in cui sono arrivato in questa comunità.

Come ritieni che sia possibile realizzare la collaborazione e la corresponsabilità nella vita parrocchiale?
Vorrei che si mettessero a fuoco le relazioni. La relazione con Dio, innanzitutto: perché sia una comunità secondo il Vangelo. In secondo luogo vorrei si mettesse a fuoco la relazione con gli altri, nella parrocchia e al di fuori della parrocchia. Ogni volta che ci chiuderemo nel difendere privilegi di lobby parrocchiali che dividono deturperemo il volto bello della comunità. Dobbiamo perciò aiutarci a combattere quella “cultura di scarto” di cui parla Papa Francesco. Ogni persona del popolo e del popolo di Dio ha un valore assoluto e grande. Non possiamo lasciare indietro nessuno! In questo cammino di servizio noi cristiani siamo chiamati ad essere testimoni di un amore più grande, ancora più aperto, gratuito e generoso. Guai se mettiamo i muri proprio noi. Non possiamo preoccuparci solo di coccolare il sentimento religioso delle persone perché noi dobbiamo sforzarci di costruire insieme la comunità, il senso della comunione, la gioia della condivisione. E questo richiede lo sforzo, l’accoglienza da parte di tutti, di confronto e di mano tesa da parte di tutti. Cosi dobbiamo costruire. Altrimenti si creano realtà dove si giudica, si mormora e non ci si stima. Un ultimo punto è la relazione con noi stessi, quella grande capacità di dialogo con la nostra vita, quel chiedere di più a noi, quel chiedere in un rapporto difficile, sempre un supplemento di amore, di fiducia verso gli altri. Sono queste le piccole cose che vorremmo sognare tutti e se le sogneremo insieme si realizzeranno, perché fin quando è il mio sogno, resta tale, ma quando è un sogno condiviso, quando è un sogno di tutti, allora è realtà. Ma ci sarà tempo fratelli e sorelle e per non sbagliare mi sono lasciato guidare dal salmista che prosegue dicendo: “Invocherò il nome del Signore”. Io voglio invocare il nome del Signore in ringraziamento di tutti e su ciascuno di voi, presenti e assenti, vicini e lontani, su chiunque invoca il nome del Signore. A tutti dico grazie, soprattutto per le parole di stima: ho sentito grandi parole di stima nei miei confronti che non merito perché ancora non vi ho dimostrato niente. Spero di meritarle, ci proverò.

 

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