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Con l’arrivo delle insigni reliquie antoniane in Piazza Falconieri e la messa solenne celebrata da mons. Michele Seccia, Monteroni si è trasformata in una piccola Padova del Salento, vivendo la prima delle storiche giornate che la attendono.

In questo momento così suggestivo, che mostra l’avverarsi di un sogno, è doveroso ricordare gli antenati della comunità, le generazioni di monteronesi del passato, che hanno trasmesso sino a noi, come il più prezioso dei tesori, il culto del patrono ma che pure non ebbero mai il privilegio di poterne abbracciare le reliquie. Senza dubbio, essi avranno tanto pregato perché il santo venisse davvero a far visita al loro paese ed ai loro discendenti. Sant’Antonio è posto infatti al vertice dell’albero genealogico spirituale della cittadina e da lì può far scorrere la linfa della misericordia in tutti i rami delle nostre famiglie. La sua generosa mano è scesa a benedire le case al fine di riconciliare i monteronesi con sé stessi e tra loro e l’intera comunità con il cielo. Che sia questo il primo desiderio del santo lo si è capito sin dal suo arrivo a Lecce venerdì sera che è coinciso con la festa francescana per antonomasia, il Perdono di Assisi. In paradiso, si sa, non lasciano mai nulla al caso.

Sant’Antonio certo è felice nel vedersi circondato da tanti suoi figli. Ma i monteronesi sono ora chiamati a corrispondere con il bene al grande onore che hanno ricevuto. Sia riscoperta dunque la bellezza di essere cristiani, di sentirsi popolo consacrato a Dio attraverso il battesimo, come ha ricordato l’arcivescovo. Cessino i rancori, l’odio sia sradicato dai cuori, ci si rivolga con fiducia al nostro protettore perché la conversione di ognuno avvenga e sia profonda quanto definitiva.

Com’è noto, il santo reca sempre in mano un bellissimo giglio. Nell’iconografia cattolica questo fiore rimanda in primo luogo alla castità. Dalle agiografie sappiamo che Antonio, soprattutto nella prima giovinezza, venne spesso tentato su questo terreno ma, lottando assiduamente, riuscì a praticare tale virtù in maniera perfetta. Anche per tal motivo ricevette il dono di poter tenere Gesù bambino tra le proprie braccia. Un privilegio altissimo, concesso solo a pochi mistici. Quel giglio tuttavia riassume l’intero cammino ascetico del santo. Indica, più in generale, la sua vittoria contro ogni sorta di tentazione, attraverso la grazia divina. Del resto, l’antica dottrina del monachesimo insegnava che un religioso è chiamato ad essere come uno spirito angelico. La lotta contro i vizi capitali è però qualcosa che riguarda tutti i fedeli, aldilà dello stato di vita. Antonio è venuto dunque per fare di Monteroni uno splendido campo di gigli. Vorrebbe scacciare da questa terra, a lui tanto cara, ogni male dell’anima. Fra le tredici grazie che ogni giorno dispensa ai suoi devoti, brama che gli siano richieste quelle più spirituali, in primo luogo un amore più profondo verso Dio. E, come di norma accade, alle grazie dell’anima seguono poi i benefici del corpo e quelli materiali.

Della grandezza di taumaturgo del “santo dei miracoli” ne ha dato testimonianza anche un devoto speciale, lo stesso mons. Michele Seccia che non a caso ha voluto custodire nella cappella privata dell’episcopio le sacre reliquie nella notte del loro arrivo a Lecce. In questi giorni, l’arcivescovo ha ricordato come da ragazzo, in seguito ad un infortunio, fu costretto a portare un gesso ortopedico. I medici temevano danni di una certa gravità. Ma, alla rimozione dell’ingessatura, avvenuta proprio nel giorno della memoria del santo, verificarono con sorpresa una totale guarigione.

 

Per le foto si ringraziano Rodolfo Pati e TgMonteroni.                                  

 

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