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Oggi, 2 dicembre, alle 11 l’arcivescovo Michele Seccia presiederà a Squinzano il rito funebre del gen. Guido Bellini, già comandante generale dell’Arma dei Carabinieri (LEGGI). Per ricordarlo, Portalecce un’intervista rilasciata dal generale a Natale del 2015 per L’Ora del Salento a Massimiliano Martena. Sono passati otto anni ma lo scenario internazionale, specie in riferimento alle guerre e alla situazione in Medio Oriente e alle migrazioni, sembra non essere mai cambiato.

 

  

 

 

 

Generale Bellini, dopo una lunga permanenza a Roma, ha scelto il buen retiro di Squinzano. Crediamo tutta­via che anche da qui conti­nuerà a seguire con attenzione l’evolversi della situa­zione internazionale, specie per gli aspetti, riferibili alla sicurezza e qui sta il punto. Vorremmo sapere da lei se noi italiani ed europei pos­siamo e dobbiamo conside­rarci in pace o in guerra, op­pure in una condizione non ben definita?

 

La domanda, pur nella sua schematicità, contiene tutte le problematiche sulla sicurezza oggi sul tappeto che impegna­no in maniera rilevante tutte le organizzazioni nazionali, multinazionali (nato, etc.) e l’Organizzazione delle Na­zioni Unite Onu. In proposito ritengo necessario prendere le mosse un po’ da lontano: dal momento in cui matura­rono le condizioni che hanno portato poi, gradualmente alla situazione odierna. Mi riferisco agli inizi degli anni ’90 quando tutti noi, in diretta televisiva, abbiamo assistito ala materiale smantellamento del muro di Berlino e quindi di tutta la “cortina di ferro”. All’epoca io ero a Firenze dove comandavo la Brigata Friuli e ricordo che tutte le sere circolavano per le vie del centro cortei di vario tipo che, nell’esprimere ovviamente la gioia per il fatto in sé, che segnava il superamento della contrapposizione Est-Ovest, volevano anche sottolineare che era scoppiata la pace.

 

 

Che cosa è successo dopo la caduta del muro?

I venticinque anni suc­cessivi ci hanno purtroppo dimostrato che il crollo della “cortina di ferro” e quindi lo smantellamento del Patto di Varsavia avevano solo segna­to la fine di un’epoca che ave­va visto l’Europa e il mondo cristallizzati in una sorta di “equilibrio del terrore” dovu­to all’immanenza di poderosi arsenali nucleari. Era iniziata la nuova Era dove ben presto abbiamo verificato che non si poteva certo parlare di pace, un ‘epoca in cui sullo scac­chiere strategico mondiale le varie pedine (le nazioni e i gruppi di nazioni) si sono sen­tite liberate da ogni vincolo. Alcune di esse, infatti, hanno iniziato a creare dapprima confusione e successivamen­te veri e propri conflitti lo­cali che in realtà si sono poi rivelati pericolosi focolai di conflitti di dimensioni anche più ampie. Fare degli esempi a riguardo mi pare superfluo. Insomma, la contrapposizione Nato-Patto di Varsavia che si sviluppava secondo una “li­nea di forza” Est-Ovest che di fatto controllava rigidamente all’interno delle logiche di potere sue proprie anche le contrapposizioni locali, aveva lasciato il posto ad una situa­zione strategica più complessa e per certi versi più difficile da gestire. Da essa sono certa­mente derivate alcune proble­matiche importanti tra cui fa­natismi religiosi con il corolla­rio del terrorismo, nonché l’e­migrazione di massa che han­no fatto sentire pesantemente i suoi effetti destabilizzanti anche sul nostro Paese spe­cie sulle regioni meridionali. Questi due fenomeni mesco­lati intimamente esprimono, sotto il profilo strategico, una sorta di conflittualità di tipo socio-economico prima che di tipo militare, secondo una linea di forza Sud-Nord dove le masse di diseredati del sud del mondo vengono a reclama­re la loro fetta di benessere, in presenza di un divario non più accettabile specie in epoca di accentuata globalizzazione in ogni settore per ogni attività.

 

 

In questo scenario come va­lutare il massiccio fenomeno migratorio?

Per quanto riguarda spe­cificamente le emigrazioni di massa occorre considerare che la spinta a muoversi è data dalla forza dei bisogni più ele­mentari. Quando finirà tutto questo? Quando questa forza potrà esaurirsi? Nessuno può dirlo con certezza. Qualche studioso ha prefigurato uno scenario più appagato intor­no alla metà del secolo 2050 ma nessuno è in grado di dire quale sarà il punto di arrivo, ossia quale equilibrio verrà a determinarsi per il futuro as­setto strategico del mondo. Al­lora veniamo al punto: siamo in pace o in guerra? Dopo 50 anni di pace in presenza di una “guerra fredda” a cui erava­mo oramai assuefatti siamo piombati in una situazione di estesa conflittualità che piano piano ha finito col coinvolgere anche il nostro Paese: le co­siddette operazioni di paceke­ping hanno comportato perdi­te di vite umane (un centinaio di morti e diverse centinaia di feriti). Questa non può esser certo definita una pace vera e propria, ma non è neanche una guerra di tipo tradiziona­le perché ne mancherebbero i presupposti. Si tratta invece di una situazione strategica nuova ancora da interpretare compiutamente. Una situazio­ne dove emergono ogni tanto nuovi protagonisti, in genere negativi, che mettono a dura prova le aspirazioni ad una vita serena ed operosa di tutti noi, il più recente protagonista è anche il più pericoloso sem­bra essere Isis.

 

 

E proprio sull’Isis vorremmo farle una domanda. Spesso noi tutti anche quelli media­mente acculturati stentia­mo a farci un’idea esatta di questo nuovo protagonista nel contesto del composito mondo islamico. Ci può dare qualche utile indicazione?

Cominciamo col dire che un documento utilissimo a riguardo è rappresentato da un recente libricino distribu­ito col Corriere della Sera di Loretta Napoleoni, dal titolo l’Isis. Ne vorrei sottolineare solo pochi concetti. Innanzi­tutto è bene considerare che l’Isis non è solo un’organiz­zazione terroristica, ma è an­che un vero e proprio Stato, creato in poco tempo, con un territorio, specifiche strutture di governance e leggi proprie. L’obiettivo dichiarato dell’Isis è quello di allagarsi ulterior­mente fino a raggiungere pos­sibilmente le dimensioni del Califfato di Baghdad distrutto dai Mongoli intorno al 1300.

 

 

Come si può combattere l’I­sis?

Per realizzare tutto ciò l’Isis risulta essere il primo e unico esempio dopo la fine della Seconda Guerra Mon­diale di uno Stato che ten­ta di allargarsi con la forza delle armi. In ultima analisi il Califfo attuale Abu Bakr al-Baghdadi vuole coronare il sogno di offrire al mondo isla­mico uno Stato confessionale in cui tutti si riconoscano, in grado di proteggere comunque gli islamici di tutto il mondo, impersonando di fatto, forma anche più rigorosa, un ruolo simile a quello svolto da Isra­ele a favore di tutto il mondo ebraico. L’Isis, a dispetto delle apparenze, opera con strutture e procedure modernissime e si avvale di tutte le possibilità offerte da tutte le tecnologie disponibili specie quelle infor­matiche e telematiche sia per operare sia per comunicare. Si può comprendere perciò quan­to sia difficile per la comuni­tà internazionale combattere l’Isis in una sorta di guerra asimmetrica, all’interno della quale trova ampio impiego il terrorismo sviluppato in gene­re con gruppi di kamikaze.

 

 

In questo scenario, non pro­prio roseo, quale ruolo può giocare l’Italia?

Il nostro Paese appartiene alla cerchia ristretta dei Pae­si più i industrializzati e come tale ha il dovere di prende­re parte attiva alle iniziative di vario genere messe in atto dalla comunità internaziona­le, specie quelle definite per controllare e possibilmente bloccare il terrorismo di qua­lunque natura e quindi anche quello sviluppatosi nell’area del cosiddetto fondamenta­lismo islamico. Oggi l’Italia vanta la più consistente parte­cipazione alle missioni di pace in atto. Ed in tale contesto la sua presenza più qualifican­te si esprime nel campo della formazione delle forze di si­curezza locali. Personalmente ho assistito ad un colloquio a livello dei Ministri delle Di­fese degli Usa e dell’Italia. In tale occasione ho avuto conferma che gli Americani hanno sempre molto apprez­zato il contributo dell’Italia. In quell’occasione ci fu chie­sto espressamente di lasciare in un certo teatro operativo, da cui ci stavamo ritirando, almeno il personale addetto alla formazione ritenuto in assoluto il migliore a livello mondiale, in modo particolare i Carabinieri utilizzati anche per l’Intelligence ed in altri settori operativi molto delicati come la difesa dell’ambiente, la protezione delle opere d’ar­te e la ricerca di esplosivi. In definitiva l’Italia sta svolgen­do appieno la sua parte e con­tinuerà a farlo, ritengo, anche per il futuro, impersonando un ruolo da protagonista mante­nendo gli standard di qualità sin qui dimostrati.

 

 

Quale contributo può dare la Chiesa per controllare il pericolo del terrorismo inter­nazionale specie di matrice fondamentalista.

La Chiesa con la sua espe­rienza millenaria saprà certa­mente individuare i modi per dare un contributo importante alla pacificazione degli animi ricercando il giusto dialogo con la parte più illuminata del mondo islamico che subisce le prepotenze ideologiche della componente fondamentalista. Il Papa ha già detto che l’a­spirazione dei popoli non può essere che quella di convive­re pacificamente nel rispetto delle tradizioni dei sentimenti religiosi di ciascun popolo. Per fare opera concreta di pa­cificazione il Papa non ha esi­tato ad esporsi anche a rischi terribili per la sua incolumità personali dimostrando la sua ferma convinzione che in fon­do gli uomini possono e de­vono ricercare linee di convi­venza e di collaborazione che rappresentino progresso per tutti. Rifuggendo da scorcia­toie di tipo violento che non possono fare altro che mettere a rischio la serenità la tran­quillità di tutti. In definitiva la Chiesa sta già svolgendo al meglio il ruolo che le è pro­prio in una forma di grande equilibrio importantissima in questa fase in cui molti dei protagonisti sulla scena mon­diale operando istintivamente senza considerare le giuste rivendicazioni e aspirazioni degli altri.

 

 

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