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Oggi 20 ottobre la città di Squinzano vivrà un momento importante e anche storico.

 

 

 

 

Nell’ambito dei festeggiamenti in onore di Maria SS. del Garofano, il cui culto trova ubicazione presso il santuario dell’Annunziata, nella cittadina nord salentina, verrà presentato ed eseguito il brano “Angelus Domini” composto dal maestro Tonio Calabrese, organista della cattedrale di Lecce e direttore del Coro liturgico-polifonico della stessa e del Coro dell’arcidiocesi di Lecce.

L’opera, commissionata dall’arcivescovo Luigi Pezzuto, già nunzio apostolico, nativo di Squinzano, sarà, infatti, il sigillo apposto al gemellaggio tra la “Città della musica” e Nazareth, dove si trova la Santa Casa presso la quale Maria ricevette il lieto annuncio per cui sarebbe diventata la Madre del Redentore.

L’inno sarà presentato alle 20 presso il santuario dell’Annunziata e verrà eseguito dal coro interparrocchiale, composto dalla Polifonica Santa Cecilia, dalle scholae delle parrocchie Maria Regina, Mater Domini e Santa Maria delle Grazie, dirette dallo stesso Calabrese.

L'Angelus è una preghiera composta per fare memoria del mistero dell'Incarnazione. Il nome deriva dalle parole iniziali del testo in latino, “Angelus Domini nuntiavit Mariae”, le quali per i primi due versetti rimandano al Vangelo dell’Annunciazione, scritto dall’evangelista Luca, e al Vangelo di Giovanni al riguardo del terzo versetto.

L'Angelus ricorda l'evento salvifico per cui, secondo il disegno del Padre, il Verbo, per opera dello Spirito Santo, si fece uomo nel grembo di Maria Vergine. Recitati, appunto, come versetti e responsorio, essi vengono alternati con la preghiera dell'Ave Maria. Tale devozione viene proclamata tre volte al giorno, all'alba, a mezzogiorno ed al tramonto, preceduta dalla squilla di una campana.

Questa pratica devozionale sembra essere nata presso i monasteri medievali, ma l'istituzione ufficiale dell'Angelus viene attribuita a Papa Urbano II, vissuto sul finire dell’XI secolo. La recita tripla è ratificata anche dal Re Luigi XI di Francia, il quale nel 1472 ordinò che fosse recitata tre volte al giorno.

A partire dal pontificato di Papa Paolo VI, alcune emittenti radiofoniche e televisive trasmettono la recita dell'Angelus ogni domenica mezzogiorno, quando il Papa tiene dapprima un breve discorso al termine del quale recita l'Angelus che, nel tempo pasquale, è sostituito dal Regina Coeli.

Il brano composto da Tonio Calabrese, preceduto da un lavoro di ricerca, studio e composizione durato quasi tre mesi, da giugno ad agosto, anche musicalmente rispetta la struttura tripartita della prece stessa.

Nella prima parte il cantore-solista intona l'annuncio: "Angelus Domini nuntiavit Maria".

Il disegno melodico di questo versetto è racchiuso in due battute. Nella prima, la disposizione delle note evoca le ali dell'arcangelo Gabriele (Angelus Domini). Nella seconda battuta, l'andamento melodico per toni congiunti discendenti evoca, invece, la discesa dell'arcangelo che porta l'annuncio celeste a Maria (nuntiavit Mariae).

Segue la risposta festosa del coro a quattro voci miste (in rappresentanza del popolo cristiano) il quale, nel dialogo che si dipana attraverso la struttura del fugato, innalza con gioia la professione di fede "et concepit de Spiritu Sancto", riproposta e confermata più volte in un crescendo sempre più coinvolgente, rappresentato anche dalle modulazioni che avvengono nel corso del canto e che conducono nell'accordo finale di La magg., differente dalla tonalità di impianto in Do magg. Segue la recita dell'Ave Maria.

La seconda parte della preghiera, "Ecce ancilla Domini", la tonalità di La magg., con cui si era conclusa la prima, diventa la dominante della nuova tonalità, Re min., con cui il solista intona il versetto iniziale. In tal modo esso si pone in un continuum con la prima parte della preghiera.

Anche in questo caso, il salto V-I (La-Re) delle note evoca il prostrarsi di Maria alla volontà di Dio comunicatale dall'arcangelo. La Vergine, dunque, dapprima annulla e umilia la sua umanità (rappresentato dal salto La>Re) per poi, "umile sia serva", innalzarsi a Dio e porsi nelle sue "sanctissime voluntati".

La caratteristica compositiva di questo secondo momento risiede nel fatto che il canto è affidato unicamente alla sola sezione delle voci femminili, soprani e contralti, che dialogano tra loro. In questo modo, l'autore ha voluto evocare una sorta di monologo interiore di Maria e il suo dubbio umano e di fede rispetto al saluto dell'angelo ("A quelle parole Maria rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto... Come è possibile? Non conosco uomo...”).

Di fatto, questa sezione della preghiera può essere a sua volta suddivisa in due parti: la prima dall'andamento lirico e commosso (rappresentato dalla notazione in valori più lunghi), la seconda da un crescendo leggermente dinamico tra le due voci (offerto da una notazione prevalentemente in crome) che si conclude nella tonalità relativa maggiore di Re min., cioè in Fa magg, a simboleggiare come Maria accetti incondizionatamente e con fiducia la volontà divina (fiat mihi secundum verbum tuum).

Dopo la recita dell'Ave Maria è la volta della terza ed ultima parte della preghiera. Un tripudio di voci che, nell'andamento gioioso e festoso del fugato, esprimono la gioia per il verbo che si è fatto carne (Verbum caro factum est) ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (et habitavit in nobis).

Tuttavia, la caratteristica del versetto intonato dal solista risiede nel fatto che, rispetto al testo latino solitamente proclamato, in questo caso esso è preceduto dall'avverbio di luogo hic (qui), prerogativa questa riservata esclusivamente ai santuari gemellati con la casa di Nazareth. Motivo per il quale è stato composto l'inno.

Nella nuova tonalità di impianto (cioè Sib magg, per cui il quarto grado della precedente tonalità di FA magg. in questo caso diventa la tonica per l'intonazione dell'ultimo versetto), il cantore-solista declama con solennità l'incipit: "Et hic Verbum caro factum est".

Nella festosa successione soprani, contralti, tenori e bassi, il coro intona la solenne risposta a simboleggiare la gioia che tutti i popoli di ogni parte della terra esprimono per il verbo incarnato, venuto ad abitare in mezzo a noi.

Difatti, il fugato delle voci si ferma più volte proprio sull'espressione "in nobis", ribadita anche in una cadenza di inganno proprio prima del finale del brano che si conclude in tonalità di Sol magg.

Dopo la recita della terza ed ultima Ave Maria segue la preghiera colletta declamata dal sacerdote, alla quale il popolo risponde con il triplice e solenne “Amen” finale.

Il brano ha una durata di circa otto minuti, ma è stata prevista anche una forma ridotta, in responsorio, destinata al popolo, da utilizzarsi, secondo le intenzioni di mons. Pezzuto, nel corso della celebrazione mensile presso il santuario.

 

 

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