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Lo sbigottimento scaturito in seguito alla nuova denominazione del Ministero della pubblica istruzione, a cui si è appena aggiunto “del merito”, ha scatenato una tempestiva ricerca etimologica per precisarne il significato, indubbiamente interessante dal punto di vista divulgativo, tuttavia un po’ forzata e, a mio parere, provocatoria e demolitrice anzi tempo a tutti i costi.

 

 

 

Sull’anzidetta aggiunta alcuni giornalisti hanno interpellato linguisti che, nel giro di pochissimi minuti, sono diventati opinionisti di riferimento. Chi più chi meno, ognuno ha manifestato critiche negative perché la parola “merito” implica o presuppone eventuali ripercussioni infelici su quegli scolari che - la faccio breve - non hanno strumenti soggettivi né oggettivi, tali da permettere loro di raggiungere gli obiettivi prefissati dalle aspettative didattiche e, pertanto, non possono competere (perché già svantaggiato) con chi è privilegiato per raggiungere l’agognato merito. Il quale significa ricompensa, premio degno di lode, meritevole e via dicendo. A me pare che, in questo caso, della medaglia si guardi soltanto una faccia. Non discuto che la vigilanza sulle parole, attraverso cui si manifesta un modo di pensare, di agire o di vivere, talvolta non è mai troppa e, aggiungerei pure, la punteggiatura che, se non è ben posta, può modificare il senso del pensiero e stravolgere gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ma impiantare tempestivamente un’accusa prima ancora che il delitto sia stato compiuto, mi sembra eccessivo e intriso di pregiudizi.

Siamo sicuri che la specificazione “del merito” sia rivolto esclusivamente agli scolari e non includa pure altri soggetti collegati al mondo della scuola? Oppure voglia dire altro e che, ciò che è stato aggiunto, sintetizza per forza di cose? E ora dico la mia pur essendo lontanissima dall’ideologia di destra che caratterizza la formazione politica del nuovo Governo. Abbiamo ancora dubbi se, in una società caotica qual è quella odierna, dove decisioni dirigenziali riguardanti il controllo di atteggiamenti spavaldi dell’alunno, il suo abbigliamento troppo disinvolto, il giudizio sul suo deludente profitto scolastico, sempre più spesso affrontato con aggressività dal genitore di turno con spirito da Far West, non abbiano bisogno di un atteggiamento energico e autorevole per il ripristino del rispetto dei ruoli, dei compiti e delle regole? Esprimiamo ancora incertezza se essere favorevoli o contrari all’uso del cellulare in classe, come se si trattasse della indispensabile merenda? Ma stiamo scherzando?

Lo so che, ciò che ho appena scritto, non va confuso con i temi complessi e dalle mille sfaccettature che sorgono in rapporto al raggiungimento “del merito”. E proprio per questo chiedo di aspettare. Sono stata in un ufficio pubblico dove mi sono vista scavalcare da due colleghe ignoranti e incapaci, indegne di ricevere promozioni non meritate, ma riconosciute loro perché raccomandate dal politico del momento. E mi fermo qui per non dire altro!

Parafrasando l’illustre linguista Bruno Migliorini riporto il suo consiglio: talvolta dobbiamo sforzarci di assegnare a un termine un mutamento di significato; da esso solitamente discendono gli eufemismi; di non essere severi nel giudizio perché spesso la limitazione o la rigidità intravista in una parola, fa apparire sotto un altro aspetto il suo autentico intendimento.

Diamo tempo al tempo e tutto apparirà più chiaro e pertinente.

 

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