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Un vero e proprio scossone in un tempo estremamente delicato e critico nei rapporti ecumenici e diplomatici e con una guerra nel cuore dell’Europa.

 

 

 

Riunitosi il 7 giugno presso la residenza patriarcale e sinodale del Monastero di Danilov a Mosca, il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha sollevato il metropolita Hilarion di Volokolamsk dalle sue funzioni di presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Al suo posto il Patriarca Kirill ha scelto il giovanissimo (36 anni) metropolita di Parigi, Antonij che manterrà, almeno temporaneamente, la guida dell’Esarcato dell’Europa occidentale. Nel frattempo, il metropolita Hilarion è stato nominato vescovo di Budapest. Don Stefano Caprio è docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale ed è uno dei più grandi conoscitori del mondo russo e del Patriarcato di Mosca in Italia.

Professore, cosa sta succedendo a Mosca?

C’è una costante nel comportamento del Patriarca nei confronti dei suoi più stretti collaboratori che ogni tanto, senza preavviso, e spesso a seconda degli umori, li sposta e li invia in altri posti e per altri incarichi. Nel caso di Hilarion - almeno per quanto ci è dato di capire - l’umore è destato dal fatto che il metropolita era troppo indipendente, prendeva iniziative troppo per conto suo, soprattutto nel cercare di aprire vie di dialogo e rapporti diplomatici. In fondo era il suo lavoro. Però non è stato gradito nel momento in cui il Patriarca prendeva posizioni più rigide e intransigenti nei confronti della guerra.

 

 

Perché proprio adesso?

In ambienti patriarcali si diceva già da un po’ che Hilarion andava per conto suo. In questi ultimi tre mesi, non ha mai fatto discorsi a sostegno della guerra come ha fatto il Patriarca. Evidentemente aveva posizioni diverse. Hilarion era poi appena tornato dall’Ungheria dove, tra l’altro, aveva incontrato il card. Erdö ed era probabilmente un incontro legato alle trattative in corso per l’incontro con il Papa e si parlava di Esterdom. Credo di aver capito che quell’incontro non era stato concordato o non ben concordato tra Hilarion e il Patriarca. Si può quindi ipotizzare che sia stata la scintilla che abbia fatto traboccare il vaso.

Questa decisione non è forse segno di una debolezza dovuta a dissidi interni nel Patriarcato?

Conoscendo il Patriarcato dall’interno, non è tanto stupefacente il caso Hilarion. Il patriarca ha già mandato via persone di una parte e dell’altra, conservatori e progressisti, intransigenti e liberali. Ha ripreso da Parigi il giovanissimo metropolita Antonij che ha 36 anni e che era il suo segretario personale e lo ha riportato di colpo a Mosca dopo che tre anni fa, lo aveva inviato a Parigi per sostituire il precedente metropolita perché era troppo debole nei rapporti con Costantinopoli. Kirill si trova in una situazione sempre molto critica nel Patriarcato di Mosca, a metà strada tra liberali e i radicali conservatori. Può darsi anche che dal Cremlino abbiano fatto pressioni per mettere da parte Hilarion che stava cercando troppo contatti con gli “occidentali”.

 

 

Aumentano le divisioni?

Purtroppo l’ortodossia in generale, non avendo un centro, non ha un’ultima istanza e per quanto siano forti il Patriarca di Mosca e il Patriarca di Costantinopoli, qualunque vescovo può sempre dire di non essere d’accordo e cambiare riferimento. L’ortodossia russa lo è ancora di più. C’è quindi una divisione a livello universale, una divisione tra russi e ucraini e una divisione all’interno dello stesso Patriarcato di Mosca. È veramente difficile orientarsi in un contesto simile.

 

Dal punto di vista di Roma e di Papa Francesco, cosa succederà a questo punto?

Diventa sempre più difficile mantenere i rapporti con i russi. La Santa Sede ha fatto di tutto per non rompere le relazioni però è difficilissimo. Hilarion, andando in Ungheria, rimane più a Occidente e potrebbe continuare a svolgere da lì un ruolo nei rapporti di dialogo basandosi sulla sua personalità che è ben conosciuta soprattutto in Vaticano. Hilarion conosce tutto e tutti. Vediamo cosa succede.

E l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill?

Per ora è tutto congelato. È chiaro che bisognerà aspettare che si plachi la guerra e si trovi un po’ di tranquillità. Di sicuro, il Papa continuerà a dire di essere disposto ad andare da tutte le parti ma sa benissimo che ogni sua mossa verrà interpretata in modo ambiguo.

Che ruolo ha avuto la guerra in Ucraina nei rapporti intra-ortodossi e ecumenici?

Ha fatto esplodere queste contraddizioni che d’altra parte erano emerse prima con il riconoscimento dell’autocefalia di una parte degli ortodossi in Ucraina. Pertanto la situazione era già molto turbolenta. La guerra non ha fatto che aggiungere benzina sul fuoco. Se fosse una cosa di politica, diremmo che è una lotta di potere tra partiti.

A questo punto la via del dialogo come si prospetta? La situazione attuale fa registrare uno storico passo indietro?

L’ecumenismo del secolo scorso aveva prodotto grandi risultati ma si è arenato da diversi anni e direi anche per responsabilità dei russi che non hanno voluto discutere questioni come quello del primato, dell’autocefalia, ecc. Sicuramente abbiamo il vantaggio di un secolo di rapporti che si sono costruiti nel tempo ma a livello di conclusioni, siamo lontanissimi. Siamo tornai al punto zero. Si deve ricominciare tutto da capo. D’altronde questa situazione fa parte della storia dell’ecumenismo. Ci sono grandi avvicinamenti e poi di colpo rotture e raffreddamenti.

E da dove ricominciare?

Non lo sa nessuno. La situazione è talmente confusa. È un tempo di attesa in cui rimanere sensibili, disponibili, non buttare niente di quello che si è costruito prima, senza accusare nessuno ma rimanere aperti all’ascolto e a nuove possibilità di dialogo. Papa Francesco a settembre vuole andare in Kazakistan. Un altro paese ex sovietico dove sebbene non ci sia una maggioranza ortodossa, ci sono però meno tensioni ed è più facile parlare. È un’idea che va proprio nello stile di Francesco. Che invece di ricominciare dal centro, propone di ripartire dalle periferie. Andare ai margini anche dell’ortodossia e vedere se da lì, si può risalire e riprendere il cammino.

 

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