Federico è morto nella sua abitazione dopo essersi autosomministrato il farmaco letale attraverso un macchinario apposito, costato circa 5mila euro, interamente a suo carico, e per il quale l’associazione Luca Coscioni aveva lanciato una raccolta fondi.
La procedura di suicidio medicalmente assistito è avvenuta sotto il controllo medico del dott. Mario Riccio, anestesista di Piergiorgio Welby e consulente di Federico Carboni durante il procedimento giudiziario. Al fianco di Federico, la sua famiglia, gli amici, oltre a Marco Cappato, Filomena Gallo e una parte del collegio legale.
“Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico”, sono state le ultime parole di Federico. “Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”.
Certamente il progresso della scienza e della medicina hanno aumentato i mezzi a nostra disposizione, hanno reso possibile prolungare la vita anche in condizioni di grande precarietà e hanno suscitato domande in gran parte nuove circa l’opportunità e la liceità di prolungare oppure sospendere determinati trattamenti. A monte di questi interrogativi sta una domanda di fondo: come tutelare la dignità del morire? Il dibattito che ne è nato sembra muoversi tra i due estremi dell’accanimento terapeutico, per chi difende la indisponibilità della vita umana, e l’eutanasia (nelle sue varie forme –diretta e indiretta, attiva od omissiva – e con i suoi corollari come il suicidio assistito) per chi invece afferma il primato dell’autodeterminazione di ogni persona umana di fronte alla morte. Un filosofo (Jean-François Malherbe) descrive in questo senso l’accanimento terapeutico nell’ultima fase della malattia e l’eutanasia come «i due tentativi simmetrici di evitare l’incontro con la morte». La morte, invece, fa parte dell’esperienza umana e con essa dobbiamo riconciliarci, preparandoci a questo momento decisivo della nostra esistenza.
Molti pensano che la Chiesa sia arroccata su un unico pensiero,ma non è così.
Papa Francesco, ad esempio, chiede di fare ricorso a “un supplemento di saggezza” per cercare il bene integrale della persona. Riporto un passaggio del pensiero del Pontefice: «L’accompagnamento È una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare. ‘Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire’, come specifica il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2278). Questa differenza di prospettiva restituisce umanità all’accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”.
Sicuramente occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano. In questo percorso la persona malata riveste il ruolo principale.
La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti.
Bisogna considerare, inoltre, che anche tra i favorevoli al suicidio assistito, i timori restano. Timori che si possano avere casi di abusi, di raggiri, comportamenti come quelli presentati in certi film, che riflettono la perdita generalizzata di valori morali dell’intera società. Timori che fanno pensare alla possibilità di consensi estorti, decisioni basate solo sull’emotività come nei suicidi, strategie di miglioramento della razza di tragica memoria
È necessario discutere e farlo bene. Perché una legge senza paletti diventa la chiave per qualsiasi soluzione, anche quella di una persona giovane e sana, che per una delusione amorosa, dice all’amico “premi tu il grilletto perché io non ho il coraggio di farlo”. Gli stessi fautori del quesito referendario sostengono che i paletti potranno comunque essere introdotti da una nuova legge o da una interpretazione del giudice. Dimostrando che il quesito è fatto apposta per liberalizzare in toto l’eutanasia e non, come dicono, per alleviare la sofferenza di un infelice. Inguaribile non è mai sinonimo di incurabile”: Sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa “riconoscere la sua autonomia e valorizzarla”, ma al contrario significa “disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita”.