«Il diritto è stato stabilito e la ragione riconosciuta». Così la Conferenza episcopale francese ha accolto la decisione del Consiglio di Stato che di fatto obbliga il Governo Macron a rivedere entro tre giorni il decreto con cui stabilisce il limite di 30 persone come soglia massima per la partecipazione alle funzioni religiose.
Una sentenza che arriva dopo un braccio di ferro tra Chiesa e Stato, e quindi dalla grande portata simbolica. Abbiamo raggiunto al telefono Alfredo Mantovano magistrato e vice-presidente del Centro Studi Rosario Livatino.
Cosa rappresenta questa pronuncia?
«La cosa che mi colpisce di più è che il ricorrente è la Conferenza episcopale francese, non un pur rispettabile gruppo di fedeli, non un singolo vescovo ma l’intera comunità dei vescovi e questo sta a determinare un conflitto serio in materia di libertà religiosa tra lo Stato e la Chiesa in Francia. Al di là dell’esito che vede in questo momento riconosciuta la ragione della Chiesa - ma direi meglio, riconosciuta la libertà religiosa che si esprime anche attraverso il culto - questo sottolinea una volontà dell’episcopato francese di non derogare sulle questioni essenziali. E aver assunto una posizione così decisa ha pagato: oggi il Governo francese è costretto a rivedere la sua decisione».
Che lezione possiamo trarre da questo? Come cattolici ma anche come cittadini.
«Che la santa messa non è un grazioso privilegio che viene riconosciuto dallo Stato ma un diritto che in Francia – ma ancor più in Italia, dove le norme sono ancor più esplicite – in condizioni di pandemia va messo in equilibrio con altri diritti, tra cui quello alla salute innanzitutto, ma non schiacciato, e il punto di equilibrio si raggiunge attraverso una collaborazione tra Chiesa e Stato, non attraverso il conflitto come ha voluto fare il Governo francese. Quindi la lezione da trarre è di non avere timori reverenziali perché non stiamo difendendo privilegi personali o di gruppo, ma un diritto naturale di ogni uomo, anche di chi non crede».
L’arcivescovo di Rennes, mons. Pierre d’Ornellas, ha sottolineato che «la libertà di culto non è una libertà come le altre». Come a dire, la Chiesa non può essere posta sullo stesso livello del cinema.
«Anche nella nostra Costituzione è così, l’iniziativa economica privata, ad esempio, è un diritto certamente, ma conosce dei temperamenti, invece la libertà religiosa non conosce i temperamenti previsti dalla Costituzione, se non i limiti di carattere generale che toccano l’essenza dell’uomo. Vale per qualunque confessione religiosa ovviamente».
In Italia hanno fatto discutere le parole del ministro per gli Affari Regionali. Francesco Boccia, secondo cui «far nascere Gesù Bambino due ore prima non è un’eresia»…
«Io da semplice cittadino esprimo un desiderio, che un Ministro della Repubblica prima di esprimersi su certe questioni rilegga la Costituzione. E la Costituzione in uno dei suoi primi articoli, non c’è bisogno di andare molto avanti, all’articolo 7, dice che Stato e Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrane. Certamente appartiene all’ordine della Chiesa, non a quello dello Stato, la celebrazione della santa messa. Posso anche ammettere che il Governo possa avviare, nel rispetto del Concordato, una trattativa sull’orario della messa, salvo verificare se in concreto sia necessario. Quello che è inammissibile è che un ministro sia così leggero nel trattare tematiche che appartengono alla sovranità diversa da quella del Governo italiano. Questa mancanza di rispetto sconcerta prima ancora di entrare nel merito».