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Niente programmi fitti di celebrazioni e iniziative, niente ammalati.

 

 

Quest’anno, la festa di Nostra Signora di Lourdes, l’11 febbraio, nel santuario francese, è stata celebrata solo con la messa internazionale e la recita del rosario, di mattina, davanti l’immagine della Vergine Maria, nella grotta di Massabielle. Poi, il coprifuoco alle 18 non ha permesso neppure la presenza dei fedeli al rosario serale o processioni aux flambeaux. La preghiera, però, non si è fermata. 

Mons. Olivier Ribadeau Dumas, rettore del Santuario di Lourdes, descrive l’atmosfera che il tempo della pandemia porta, in questi giorni, nei viali del santuario e nei luoghi di culto, con la presenza di misure per evitare i contagi del Covid-19.

 

Come avete vissuto, quest’anno, a Lourdes la festa della Madonna?

È stata una giornata particolare, perché le persone possono venire al santuario solo per le celebrazioni. Quindi, alla messa internazionale e per il rosario. I pellegrini, però, non hanno potuto pregare alla Grotta di sera. Perché abbiamo il coprifuoco alle 18. Questa giornata è stata comunque importante per più ragioni. Perché era la Giornata mondiale di preghiera per gli ammalati. E Lourdes è molto legata agli ammalati. Sia perché Giovanni Paolo II ha deciso di assegnare a quest’evento la data della memoria di Nostra Signora di Lourdes. Sia perché questo è un luogo di guarigione, ma anche un luogo dove i poveri e gli ammalati hanno il primo posto.

 

Al centro dei vostri incontri online, in questo periodo, anche i medici. Perché?

Reputo molto importante poter dire una parola ai medici. Dire loro che sarà possibile venire a Lourdes anche con gli ammalati. Perché quelli che sono ammalati saranno i primi a essere vaccinati. Dunque, per loro forse ci sarà una possibilità di tornare nel santuario. Abbiamo messo in pratica una carta sanitaria molto precisa per dare tutte le indicazioni che permettano di venire in sicurezza.

 

Avete ipotizzato un periodo in cui potrebbero riprendere i pellegrinaggi?

Dire quando si potrà tornare alla normalità è difficile, perché l’incertezza è grande. La speranza è che all’inizio di luglio si possa riprendere con i primi pellegrinaggi, dal momento che la vaccinazione potrebbe dare i primi effetti in quel periodo. Fino alla fine di ottobre speriamo di avere molti pellegrinaggi. E qualcuno anche a giugno. Anche se gli ammalati non dovessero poter venire, il personale sanitario sì. In modo da portare la preghiera di coloro che non potranno essere qui.

 

Pregherete per gli ammalati ma anche per i medici…

Certo. Lo facciamo spesso. Preghiamo per tutti coloro che si prendono cura dei più deboli: i medici, coloro che li servono. Abbiamo bisogno di persone che si mettano al servizio dei fratelli. E noi cristiani abbiamo questo dovere di pregare e di metterci al servizio degli altri.

 

Qual è, secondo lei, il bilancio che si può tracciare di quest’anno condizionato dalla pandemia, a Lourdes?

È stato un anno difficile. Perché abbiamo affrontato tre sfide. La prima è quella dell’incertezza. E noi non siamo abituati all’incertezza. Abbiamo piuttosto l’abitudine di sapere ciò che dobbiamo fare. Adesso, invece, non sappiamo cosa faremo domani o dopodomani. A Lourdes, abbiamo l’abitudine con i pellegrini della fiducia. All’incertezza risponde la fiducia dei pellegrini. Abbiamo affrontato anche la vulnerabilità. Il mito dell’uomo giovane e bello non vale. Lourdes ci dice che i più vulnerabili sono al primo posto e che la vulnerabilità ha una grande dignità. Ma anche che la risposta a questa sfida della vulnerabilità è nella fratellanza, nella solidarietà. Che viviamo a Lourdes. Il terzo aspetto, nel bilancio di quest’anno di pandemia e della crisi, è di aver dovuto affrontare la morte. Le nostre società occidentali hanno buttato via la morte dalla vita. Ma la morte adesso appare in maniera rilevante, quando ogni sera abbiamo il numero dei morti della giornata. Noi, però, non abbiamo paura della morte, perché sappiamo che dopo quel momento c’è la comunione dei figli con il Padre. Dunque, per noi la morte non deve essere qualcosa di terribile.

 

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