Una Pasqua, per il secondo anno, impastata alle sofferenze della pandemia, la Passione di Gesù e la luce dirompente della Risurrezione che squarcia le tenebre.
E se quest’anno c’è la gioia di poter celebrare in presenza, anche se con le limitazioni legate alle misure anti contagio, la pandemia ci aiutare a rileggere la vita secondo le indicazioni che Gesù ci dà nel Vangelo. Con un invito a pregare, fare il bene, amare, oggi. Questo in sintesi il pensiero di don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, per la Pasqua 2021.
Che Pasqua è quella del 2021?
Poter celebrare con il popolo è una gioia immensa. È stata un’esperienza terribile la veglia dell’anno scorso, quando, da solo, con il cero in mano, attraversavo la navata centrale e venivo ripreso da un collaboratore su un telefonino per la diretta sui social. Sarà, dunque, una Pasqua diversa rispetto al 2020, malgrado i limiti dovuti alle misure per prevenire il contagio. Certo, non ci aspettavamo, dopo un anno, di trovarci in queste condizioni, invece la storia è più grave di quello che si era compreso, all’inizio.
Come la luce della Pasqua illumina anche questo anno segnato dal dolore e dalle difficoltà per il Covid?
Le famiglie che sono state colpite sono segnate terribilmente, ma anche le persone ammalate e sulla carta guarite portano i segni nel corpo. Di queste si parla poco: ho intorno a me tanti che sono stati colpiti dal Covid ma che non si sono ripresi dopo 4 o 5 mesi. Se io paragono la pandemia alla guerra, io dico che parliamo molto dei morti e dei “feriti”, cioè di coloro che attualmente sono positivi, ma poco dei “mutilati”, cioè dei guariti che portano nel loro corpo le conseguenze della malattia. Per le persone fortemente segnate, per i credenti soprattutto, venire a messa a Pasqua è una gioia immensa, come quella che provo io a celebrare con il popolo. Anzi, possiamo dire che, durante la pandemia, la fede di coloro che facevano un cammino non solo non è crollata, ma si è rafforzata. Il fatto che un virus invisibile ha messo in ginocchio l’umanità lascia riflettere: il Signore non ha mandato la pandemia, ma dobbiamo saper leggere i segni dei tempi.
Ci spieghi meglio…
La pandemia è tutta riassunta nelle pagine del Vangelo, come quando Gesù invita a essere “pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” perché, “nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. O, come nella parabola dell’uomo ricco, che, dopo un raccolto abbondante, diceva a se stesso: ora “ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”, ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”. La pandemia ha messo le persone di fede di fronte alla realtà della propria piccolezza, ma anche al fatto che ogni giorno è un dono di Dio. Gesù ci chiede di operare la carità oggi, di assaporare la gioia del momento presente, di non fare troppi progetti per il futuro, di non rimandare a domani il tempo della preghiera. Allora, vale la pena accumulare soldi per un futuro che neanche sappiamo? E vale la pena avere dentro di noi sentimenti di invidia, gelosia, odio se possiamo morire domani? Mi accorgo che le persone, che non fanno un cammino di fede, hanno un grande desiderio di tornare alla normalità, intesa come un semplice ritorno al passato. La luce di Cristo Risorto, invece, irrompe nella vita di coloro che aprono le porte del cuore al Signore, cambiandola.
In che modo?
Qualcuno dice che il cristianesimo è “sentirsi amati”. È vero: Gesù ci ama, ama i peccatori, ama gli ultimi, ama tutti. Sarebbe il fallimento di Dio se la morte di Cristo dovesse servire a salvare solo un piccolo gruppetto di persone di serie A. Il Signore vuole dare al peccatore una dignità che supera il suo peccato, come è successo alla donna adultera che Gesù rimette in piedi. Dice Sant’Agostino, la miseria e la misericordia si guardano negli occhi, ma Gesù, dopo che nessuno l’ha condannata, dice all’adultera di ricominciare a vivere: “Adesso va’ e cambia vita”. Non è un prezzo da pagare, ma molto di più. In questo tempo manca la disponibilità a cambiare i nostri cuori. Eppure, un cristiano che ha fatto l’esperienza di Dio vuole subito partecipare agli altri il grande dono che ha ricevuto. Ecco, il grande messaggio di Cristo: “Ama”.
Nel mondo di oggi quanto è difficile comprendere il mistero della Pasqua?
Tutto si ferma di fronte all’assurdità della Settimana, al tempo stesso, Santa e terribile, indecifrabile, allo scandalo della croce, alla meraviglia della Risurrezione. In Gesù, Uomo per eccellenza e vero Dio, la sofferenza ha raggiunto il suo livello più alto proprio perché era senza peccato e in comunione con Dio. Secondo me più della corona di spine o delle frustrate, gli ha fatto male il rinnegamento di Pietro. Nella Settimana Santa abbiamo meditato tutto questo e guai a noi ad abituarci alla Pasqua, guai a noi a fare della Pasqua l’uovo di cioccolata o la colomba che vola felice. È un mistero immenso! E io, che vado alla ricerca di me stesso, prima di morire voglio sapere chi sono, chi è l’uomo: l’unica risposta che ho trovato è l’Uomo veramente tale, Gesù, l’unico in cui mi posso specchiare e rivedere, in cui posso ritrovare me stesso. Tutto quello che è successo a Lui, fatte le debite proporzioni, deve succedere nella mia vita: peccato che Lui ha sanato e perdono, morte e risurrezione, misericordia e salvezza. Nietzsche diceva che tutto è un eterno ritorno, per noi cristiani non è così: il tempo è una freccia scoccata verso il centro, verso Dio. Allora, anche la malattia può diventare concime per far crescere un fiore nel deserto e salvezza per i miei fratelli. Ed è una rivoluzione, in un mondo che dice che i malati non valgono niente e i vecchi devono essere eliminati con l’eutanasia perché sono un peso.
E la morte?
In chiesa, davanti alle tante bare bianche di bambini, morti di tumore, qui nella Terra dei fuochi, ai genitori ho sempre detto: la morte è una menzogna, è l’apparenza, questo bambino è vivo in un’altra dimensione, tutti facciamo parte del Regno di Dio. L’amore supera anche la morte, perché Cristo è Risorto.