Un tempo il periodo di Quaresima, nel cui termine è contenuto il numero quaranta che simboleggia il castigo e il pentimento, era caratterizzato da penitenza, digiuno e astinenza: pratiche tipiche di ogni periodo di preparazione verso un avvenimento singolare.
L’astinenza consisteva nel divieto di consumare carne, latte, formaggio e uova, soprattutto queste ultime costituivano il simbolo universale di rinascita, di rinnovamento periodico della natura, di resurrezione. Pertanto, si conservavano durante tutto il periodo quaresimale e, una volta terminato, si adoperavano per confezionare i triddhri o millaffanti, ottenuti da un impasto di semola, uova, formaggio e prezzemolo tritato, sbriciolato con le mani, cotti direttamente nel brodo di gallina, e anche la cuddhrura o puddhrica, una sorta di pane (di pasta dolce o salata) cotto al forno. Sono termini dialettali che echeggiano voci di greco antico che significano impasto, pane che si offre, abbondanza e via elencando.
Se all’impasto si dava la forma di pupattola era regalato alle bambine, se di galletto o di panierino, la panareddhra, era regalato ai maschietti, se di tarallo agli adulti; la palummeddhra raffigurava il simbolo della pace. Ciascuna forma conteneva uova in numero dispari (portafortuna), fermate con strisce di pasta.
Le cuddhrure si mangiavano soltanto dopo lo scioglimento delle campane pasquali (in passato avveniva il Sabato Santo). Terminata la funzione religiosa, le fidanzate inviavano o portavano alla futura suocera una cuddhrura con un uovo soltanto; un’altra, con 21 uova, era destinata al fidanzato ed altre, di diversa misura, erano distribuite ai parenti del fidanzato; questi abitualmente ricambiavano con un agnellino di pasta di mandorla che teneva appeso al collo un oggettino di oro.
Per approfondire
- Barletta, Quale santo invocare? Feste e riti del calendario popolare salentino, Grifo 2013