Almeno due dei tre interventi operati nella città di Lecce, dall’arch. Antonio Trevisi, non sono sue creazioni ma, realizzate da lui, e risalgono a disegni dati da Gian Giacomo dell’Acaja: il quartiere degli alloggi della guarnigione di servizio al castello (1550) ubicato presso la porta falsa di quella fortezza, ed il tratto delle mura presso porta San Giusto (Porta Napoli).
Oltre che alle difese di Lecce, si dedicò, sempre nella seconda metà del secolo, alle altre di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto, operando convenienti riduzioni sui prezzi di fabbrica di muro e dando prova di abilità tecnica demolendo e ricostruendo, in un non identificato palazzo sito nella pubblica piazza di Lecce, un pilastro portante, senza compromettere la stabilità dei vani superiori, fatica compiuta in una sola notte ed al lume dei fuochi accesi per solennizzare la pace tra Filippo II (1527-1598) e Paolo IV (1476-1559).
Trasferitosi dal suo Salento - egli era nato in Campi da una famiglia di costruttori che ebbe distinti esponenti anche il secolo successivo - a Roma, coltivò l’ambizioso progetto di governare il corso del Tevere e, al momento opportuno, avviò contatti con Pirro Ligorio (1512-1583) e con Camillo Orsini (1492-1559) e, quando fu pronto, diede alla stampa il “Fondamento del edifitio nel quale si tratta con la Santità de N. S. Pio papa IV sopra la innondatione del Fiume” (Roma 1560), che dedicò al card. Federico Borromeo (1564-1631).
Pio IV (1499-1565) non gli affidò l’opera a cui Trevisi teneva, ma gli commise (1564) l’importante lavoro di introdurre nella città l’Acqua Vergine, riutilizzando l’acquedotto che Agrippa (63 A.C. - 12 A.C.) aveva fatto costruire all’ottavo miglio della via Collatina, ma Trevisi, accaparratosi il lavoro, lo cedette in subappalto, non mancando di occuparsi di affari meno impegnativi, come la fornitura di sculture da giardino, notizia dopo la quale nulla si conosce più della sua vicenda.