Santa Irene di Tessalonica è stata la prima protettrice di Lecce alla quale l’Ordine dei Teatini intitolò la chiesa (costruita dal 1591 al 1639), realizzata su disegno del Padre Francesco Grimaldi e posta nell’isola cosiddetta “della Frasca”, detta familiarmente “i Teatini”.
Decretata come chiesa della municipalità, sulla facciata fu apposto lo stemma urbico costituito dalla lupa attraversante l’albero di leccio incoronato. La santa, situata sul prospetto principale, è raffigurata dalla statua lapidea eseguita (1717) da Mauro Manieri.
Nel Seicento la santa fu spodestata da Sant’Oronzo; a lei fu dedicato il terzo piano del Campanile del Duomo. In passato attorno alla chiesa si svolgeva la fera de santa Rini, la fiera di sant’Irene; la caratteristica della fiera erano le cretaglie, còtume, costituite da vasi di uso domestico quotidiano come brocche, vasellame vario, cofani, conche per il bucato, e pignate, pignatte, dove le massaie solitamente cucinavano i legumi, mettendole dinanzi al fuoco del camino.
Un altro manufatto caratteristico della fiera era la campanella di creta, lu campanieddhru te crita, che ricordava la campana più piccola attaccata al campanile della chiesa sopracitata che suonava per annunciare l’arrivo del maltempo, al fine di allontanarli. Questa sorta di talismano si comprava ai più piccoli come trastullo oppure diventava il modesto dono che l’innamorato faceva alla propria amata.
Si ricorda che in passato la campana maggiore della Chiesa di sant’Irene sunaa lu matutinu, suonava il mattutino, già alle cinque del mattino, dando così la sveglia ai cittadini che, naturalmente, accoglievano la sacra sonorità con una recita di colorati improperi. Ai rintocchi di questa campana seguivano quelli delle altre chiese cittadine, diffusi fino alle ore undici quando, sempre ai Teatini, si celebrava l’ultima messa. Questi ultimi rintocchi segnalavano una sorta di sollecitazione a fare la spesa ossia ad acquistare gli ingredienti necessari per allestire il pranzo e, rivolgendosi idealmente alle donne, ne sollecitavano il rientro a casa perché potessero cucinare.
Per approfondire
Barletta, Quale santo invocare. Feste e riti del calendario popolare salentino, Ed. Grifo, Lecce 2013