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 ampeggia sui muri della città di Lecce, un maximanifesto che invita  i genitori a partecipare ad un “open day”  promosso da un’Istituzione scolastica secondaria di primo grado.

E fin qui, nulla di straordinario, anche se appare legittimo chiedersi se quella scuola, che ha certamente investito una somma rilevante, per quella pubblicità, sia poi una di quelle che chiede il contributo dei genitori per l’acquisto della carta igienica.

La sorpresa arriva, però, quando  in calce allo stesso manifesto si legge, a mò di slogan pubblicitario, che in quella scuola si garantisce che non ci saranno episodi di mobbing o di bullismo.

Al di là del fatto che nessuno, ad iniziare dal dirigente scolastico, che ha posto la sua firma in fondo al manifesto stesso, potrà mai garantire “a priori” che tali episodi non accadano, quel che sorprende è che si presenti come una caratteristica di originalità (in forza della quale i genitori dovrebbero scegliere proprio quella scuola) ciò che sarebbe scontato che ogni genitore si attendesse in ogni istituzione scolastica.

A meno che non si pensi ancora alla “vexata quaestio” che contrappone istruzione ed educazione e si ritenga che la scuola debba provvedere solo alla prima, trascurando od obliando la seconda.

Il fatto in sé, impone una seria riflessione sulle modalità di competizione sfrenata delle istituzioni scolastiche (che ormai non sanno più a cosa ricorrere), ma, soprattutto, sull’idea di scuola che immaginiamo per il terzo millennio.

Una cosa è certa: in un mondo completamente  e profondamente cambiato, dobbiamo immaginare una scuola nuova, in tutte le sue strutture e funzioni, ma,  soprattutto, un modo nuovo di fare scuola.

E tuttavia, certi valori dovrebbero continuare ad appartenere ad un’istituzione che, comunque la si veda e con tutte le rivoluzioni tecnologiche che si possano immaginare, dovrà permetterci “di  salire sulle spalle dei giganti e vedere un po’ più lontano di noi”, secondo la felice espressione di Blaise Pascal,  mutuata da Béthaire de Chartres.

 

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