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Si va affermando in campo scientifico una teoria che riguarda direttamente la cura delle malattie, diventata particolarmente attuale in tempi di pandemia.

 

 

 

La teoria va sotto il nome di “medicina di precisione”, che va ben oltre il modello tradizionale, perché, oltre al profilo biologico del paziente, prende in seria considerazione anche la sua dimensione personale, culturale e sociale, in una parola, la dimensione psicologica.

Esistono già prove, nella clinica, che dimostrano che questo approccio funziona, producendo ottimi risultati, in termini di cura e giovando anche alla spesa sanitaria, eliminando il ricorso a terapie tanto costose, quanto inutili.

Se ne discute a livello di Unione Europea per tentare di includere la “medicina personalizzata” nella legislazione dei Paesi aderenti, nella convinzione che vada individuata la cura giusta per il paziente giusto e al momento giusto.

Per poter giungere ad una medicina personalizzata, oltre all’ambito della ricerca farmaceutica, bisogna agire a livello di formazione dei futuri medici.

Si tratta di inserire nei curricoli universitari di medicina, quelle discipline che vengono identificate con la definizione di “Human sciences”, in modo che i futuri medici si convincano che dietro ad ogni malattia, c’è una persona malata, con le sue caratteristiche uniche.

Si può ipotizzare un ritorno al passato: fino all’800 le Università rilasciavano una laurea in “Medicina atque philosophia”, a sottolineare che la filosofia, nel suo senso più autentico, deve guidare qualsiasi scienziato, incluso il medico, a non perdere mai di vista l’uomo.

E giustamente diverse università, anche in Italia, hanno previsto, assieme alla storia della medicina, insegnamenti di filosofia, epistemologia, ecc. nei primi anni del Corso di Laurea in medicina e delle professioni sanitarie.

Andranno responsabilizzati anche i pazienti, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei dati personali, necessari per raccogliere dati genetici, che consentano il ricorso a terapie sempre più “ad personam”.

In buona sostanza, il malato sarà collocato al centro di una relazione, basata sulla fiducia, che escluda il tradizionale approccio clinico, incentrato su uno schema paternalistico.

Il paziente va aiutato, in sostanza, a diventare artefice della sua stessa guarigione, superando il tradizionale rapporto sbilanciato ed operando alla pari degli operatori sanitari.

 

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