0
0
0
s2sdefault

Sulle qualità umane prima, e professionali poi, nessuno di noi ha mai avuto dubbi. Sin da quando il suo parroco dell'epoca, don Antonio Perrone, avendo apprezzato in Matteo Caione la buona stoffa del giornalista, oltre che del bravo ragazzo, lo presentò, appena ventenne, alla redazione de L'Ora del Salento perché 'imparasse il mestiere'.

 

 

 

Per diventare un cronista in gamba non gli mancava nulla fin dall'inizio, soprattutto in quote di passione. Da quel momento è cresciuto accumulando (anche in altre testate) esperienza su esperienza fino a superare brillantemente l'esame di giornalista professionista, fino a schierarsi sempre in attacco di fronte a qualunque sfida, fino a strappare - sia pure con grande ritardo rispetto alle sue nobili qualità (ma, si sa, con l'editoria in crisi, è davvero complicato farsi largo) - il contratto in un quotidiano pugliese. E nelle scorse settimane è arrivata anche la sua elezione a delegato provinciale dell’Unci (Unione nazionale cronisti italiani), il gruppo di specializzazione dei cronisti della Federazione nazionale della stampa (Fnsi), sindacato unitario dei giornalisti italiani.

Ma senza mai recidere le radici: e non solo per un profondo senso di gratitudine verso chi ha favorito i suoi primi vagiti nel giornalismo attivo. Ma per quel principio di appartenenza che si fonde con l'identità e trapassa la carne: con L'Ora del Salento, la prima palestra e, ancor di più, oggi, a Portalecce di cui è discreto e prezioso collaboratore.

Ora la notizia. Che lui, come da manuale, avrebbe sintetizzato già nelle prime due righe; ma l'emozione, a volte, fa brutti scherzi anche a chi è navigato in questo mare. Insomma, Matteo Caione, l'altra sera, a Molfetta, è stato proclamato vincitore della seconda edizione del Premio letterario “don Tonino Bello - Sezione giornalismo di prossimità”.

Una cerimonia (GUARDA LA PROCLAMAZIONE) semplice ma intensa nel nome di quel vescovo, don Tonino, che a Molfetta percepivano santo già prima della sua morte prematura. L'articolo premiato è stato pubblicato da Avvenire (LEGGI) lo scorso luglio e racconta la “periferia esistenziale” dello sfruttamento dei ragazzi africani nei campi del Sud, a pochi giorni della morte di Camara Fantamadi, ventisettenne del Mali, stroncato dalla fatica e dal caldo mentre rientrava in bicicletta dopo un'altra giornata di schiavitù. In un contesto così doloroso, il bagliore di una stella di speranza a Boncuri di Nardò dove la Caritas diocesana rappresenta ancora oggi un vero presidio di accoglienza e di solidarietà.

La giuria, presieduta da Piero Ricci, numero uno dell'Ordine dei giornalisti di Puglia, ha decodificato, tra le righe del quadro tristemente fiducioso descritto da Matteo, ciò che don Tonino Bello sperava di leggere ogni mattina quando sfogliava i giornali: contava, infatti, soprattutto su quei giornalisti capaci di raccontare le verità “mettendosi in corpo l’occhio del povero”. E Matteo che è cresciuto “a pane e don Tonino” ha assorbito bene il significato di Kènosis.

Ha rivelato, infatti, egli stesso - dopo la proclamazione da parte del vescovo Domenico Cornacchia -, di conoscere (di don Tonino) vita, morte e miracoli - è proprio il caso di dirlo -, perché sin da ragazzo ha cominciato a 'divorare' i suoi scritti, a nutrirsi della sua profezia e ad apprezzarne lo stile letterario: una lezione permanente di giornalismo di prossimità condito da carezze di poesia liberante che il nostro Matteo ha imparato quasi alla perfezione.

Il premio “don Tonino Bello” assegnato a lui sotto l'ala del “profeta di Alessano”, rende orgogliosi tutti noi di Portalecce. È un po' anche nostro: Matteo se ne farà una ragione.

 

Forum Famiglie Puglia