Gli ospedali, come le case di cura, si possono considerare un segno della fedeltà con la quale i discepoli di Cristo accolgono il mandato evangelico di curare i malati.
Si è svolta così ieri mattina, memoria liturgica di San Nicola da Myra, conosciuto come benefattore e protettore soprattutto dei bambini, la prima messa e la consacrazione della piccola chiesa intitolata alla Beata Vergine Maria della Medaglia miracolosa, realizzata all’interno del Dea (Dipartimento di emergenza e acuti) dell’ospedale “V. Fazzi” di Lecce, nato per accogliere i reparti ospedalieri ad alta complessità di cure e che durante l'emergenza Covid-19, era stato riorganizzato in ospedale Covid.
La cappella raccoglie sulle vetrate le immagini di santi importanti e significativi quali San Giovanni Paolo II un gigante della storia e della fede, San Vincenzo De Paoli, padre dei poveri, Santa Luisa, co-fondatrice delle Suore Figlie della Carità, Santa Caterina Labourè, la santa che ha accolto l'invito della Vergine Maria a coniare la Medaglia Miracolosa, San Camillo de Lellis, protettore degli operatori sanitari che invita a mettere più cuore nelle mani e infine Santa Teresa di Lisieux, la patrona delle missioni, una santa che insegna a essere piccoli e ad abbandonarsi a Dio.
La solenne celebrazione eucaristica per la dedicazione dell’altare e la consacrazione della cappella, è stata presieduta dall’arcivescovo Michele Seccia. Ha concelebrato il cappellano del “Fazzi”, don Gianni Mattia. Presenti alla cerimonia il commissario straordinario della Asl di Lecce, Stefano Rossi, il direttore sanitario del nosocomio salentino, Carlo Sabino Leo e la superiora delle Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli, Suor Rosanna Polverino, ma anche la presenza di gruppi di preghiera, fedeli, alcuni pazienti con le loro famiglie ma soprattutto, i tanti camici bianchi, in prima linea durante il periodo Covid.
Una liturgia quella della dedicazione che è stata scandita da alcuni importanti riti, a cominciare dalla preghiera di benedizione dell’acqua e l’aspersione dei fedeli, della cappella e dell’altare; la deposizione delle reliquie dei Santi Caterina Labourè, Vincenzo De’ Paoli, Luisa Di Marillac e Camillo De Lellis all’interno dell’altare, cui è seguita la preghiera delle litanie, l’unzione dell’altare con il sacro Crisma e l’accensione del braciere per farvi ardere l’incenso. Due suore della congregazione vincenziana hanno poi ricoperto con la tovaglia l’altare, che è stato preparato per la celebrazione eucaristica.
“Sono anche io commosso ed emozionato quanto voi - ha detto l’arcivescovo durante l’omelia - perché è per me la prima volta che mi capita di dover dedicare una chiesa, non in un luogo comune, ma nella casa dove l’uomo soffre e cerca consolazione e speranza, dove la speranza è la virtù più importante, perché la speranza cristiana è speranza di certezza, di consolazione e di affidamento. Quella speranza che accompagna ogni fratello o sorella che si trova in situazioni particolari di vita, trova nel personale pronto ad accudire i malati, il cuore in quelle mani, con gesti di amore carichi di energia che tante volte si legge negli occhi di un infermiere o di un medico o di un primario che svolge con passione la propria professione”.
“Al termine di questa celebrazione - ha commentato don Gianni, cappellano ospedaliero da quasi 25 anni -, il primo doveroso ringraziamento va a Dio che ci ha donato uno spazio per poter lodare e pregare Lui che è l’origine e la fonte di ogni bene. Abbiamo vissuto un momento di grazia e forza per alimentare la speranza in un luogo di dolore, una dimora di Dio fra gli uomini che soffrono. Come le sale operatorie, anche qui si opera un intervento significativo: toccare il cuore di Dio perché nel dolore ci faccia sentire il suo abbraccio e nella sofferenza possiamo essere fonte di guarigione per tutti. Un grazie alle ditte Guerrato e Gravili che hanno reso tutto questo possibile oltre alla Asl di Lecce e alla nostra associazione e organizzazione di volontariato Cuore e mani aperte”.
La comunità ospedaliera è innanzitutto una famiglia nella quale il dolore e la speranza si sperimentano continuamente. È un luogo in cui l’umanità sofferente è accompagnata dalla presenza del personale che non è estraneo al dolore. Gli ospedali sono luoghi dove il silenzio sovrasta i rumori; il silenzio è come un martello che batte nella testa senza dare riparo e riposo. Un silenzio nel quale ci si perde e ci si sente smarriti. Questa cappella posta accanto all’aula di formazione, per quanto causale possa essere stata, è un segno Dio, perché là dove non arriva la scienza nella medicina può sempre arrivare la fede.
Al termine della celebrazione l’arcivescovo è stato accompagnato nel reparto di rianimazione del Dea dove ha benedetta una statua della madonna.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli