Mi ha sempre appassionato la storia e con essa tutto ciò che appartiene al passato. La storia racconta di uomini e donne che ormai non ci sono più e che, con il loro lavoro, hanno tracciato dei percorsi, impronte che altri sono chiamati a percorrere.
Ho sempre pensato (e sperato…) che ogni uomo possa avere nella vita una seconda chance soprattutto dopo aver sbagliato e toccato il fondo: parlo di coloro i quali la società considera con troppa leggerezza “pietre di scarto” o, come affermava don Tonino: “drop out”. Se ciò è possibile per gli uomini - mi sono sempre chiesto - perché non potrebbe esserlo per le cose? Mi riferisco ovviamente agli oggetti o agli arredi sacri o ai vecchi mobili che consideriamo ingombranti e fuori moda e, dunque, da portare via in discarica o, bene che vada, da svendere a qualche abile rigattiere dal fiuto dell’affare.
Ci siamo ormai rasseganti all’idea che ciò che non serve vada buttato. Fino a poco tempo fa c’era ancora l’idea che quando un oggetto si rompeva era saggio portarlo dall’artigiano che aveva la bottega nel centro storico della città; ora, invece, senza troppi scrupoli, non si tenta neanche di aggiustarlo: si butta via e basta!
Don Tonino Bello, nella bellissima e struggente lettera a San Giuseppe “La carezza di Dio”, scriveva: “Se oggi, qui da noi, di botteghe artigiane è rimasto solo qualche nostalgico scampolo, non è tanto perché non si genera più, quanto perché ormai non si ripara più nulla… Quando un oggetto si è anche leggermente incrinato nella sua funzionalità, lo si mette da parte senza appello. Del resto, se nelle sue viscere non racchiude un’anima d’amore, per quale scopo accanirsi nel ridare la vita a un corpo già nato cadavere?”.
In realtà quella di don Tonino era solo un’amara analisi della società della fine del secolo scorso; ora la civiltà dell’usa e getta è diventata ancora più fredda, spietata e apatica e, purtroppo, non solo verso gli oggetti ma a volte anche nei confronti dei più deboli.
Tutto ciò per condividere un’esperienza davvero significativa. Da poco più di un anno sono rettore nella chiesa di Santa Teresa d’Avila a Lecce. Per uno come me, appassionato di tutto ciò che profuma di storia, quella del vescovo di affidarmi quella chiesa, non poteva che essere una scelta azzeccata. Tutto, in quella chiesa meravigliosa, sembra sospeso nel tempo. È come se la vita si fosse fermata alla fine del 1600. Se non fosse per la normale manutenzione la chiesa è rimasta così com’era: immersa ancora nella meravigliosa luce di una storia ricca di fascino e di suggestioni.
Così, cercando tra le carte e gli oggetti impolverati, il mio sguardo si è fermato su alcuni quadri ritraenti la Via Crucis, in verità stampe antiche, piene di polvere ma custodite con tanto amore da Rocco e Anna, i due instancabili coniugi che hanno a cuore l’antica chiesa del centro di Lecce. Una volta appurato che quelle stampe erano state nel frattempo sostituite da altre più moderne e funzionali, con il consenso della commissaria della confraternita, Loredana De Benedetto, le ho prese con me e ho pensato di inventare per esse una “seconda vita”. Le ho affidate ad Arturo Caprioli, fotografo e volto molto conosciuto e apprezzato da tutti quelli che frequentano le chiese del centro storico, il quale le ha sottoposte ad un essenziale quanto necessario restyiling cambiando le cornici ormai tarlate, i vetri ormai lesionati e pulendo con cura le stampe segnate dal tempo. Il risultato è stato sorprendente e per certi aspetti, straordinario. È venuto fuori un bellissimo lavoro di recupero di una storia che sembrava essere ormai dimenticata.
Mi dispiaceva nuovamente abbandonarle all’oblio e ho pensato così - con il consenso del vicario generale - di collocarle nella cappella del Centro di pastorale e cultura Giovanni Paolo II (ex nuovo seminario) ove sono responsabile, e permettere a tutti coloro che pregano in quella chiesetta di apprezzarne la bellezza e soprattutto il lungo percorso che hanno intrapreso fino a giungere alla nuova destinazione.
Ieri mattina, durante la messa, alla presenza dei volontari del Centro di pastorale, le ho benedette e collocate all’interno della cappella. È stato un momento di grande intensità emotiva e di profonda spiritualità. Spero che tutti coloro che entreranno nella piccola ma meravigliosa cappella del Centro di pastorale possano fermarsi un attimo a contemplare quelle piccole stampe antiche che, finalmente, hanno iniziato una seconda vita.
Photogallery di Arturo Caprioli