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“Venite in disparte e riposatevi un pò”. Il pensiero amorevole di Gesù verso i suoi discepoli è lo stesso che, annualmente, accompagna l’arcivescovo Michele Seccia il quale al termine di un intenso cammino di formazione permanente durato ben nove mesi, ieri 14 giugno ha convocato l’intero presbiterio presso il seminario estivo di Roca per vivere la giornata di santificazione sacerdotale.

 

 

La giornata, iniziata con il caffè di benvenuto, è proseguita con la recita dell’Ora media durante la quale il presule ha voluto fornire la chiave interpretativa dell’intera giornata: un momento nel quale stare con il Signore per rinvigorire le motivazioni della propria sequela e rinsaldare la fraternità presbiterale.

Così Seccia: “Cari fratelli presbiteri vi ringrazio per aver accolto il mio invito: in questa giornata, idealmente, il Signore ci porta sul Tabor per parlarci, trasfigurarci ed inviarci. Lasciamoci toccare dalla sua grazia e facciamo sì che questo dono che abbiamo ricevuto con l’imposizione delle mani venga vissuto attraverso un'autentica donazione a Lui, ai fratelli cui siamo mandati e tra di noi!”.

È toccato a don Gianni Caliandro, presbitero della diocesi di Oria e rettore del Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta, tenere la riflessione incentrata sulla bellezza della vita presbiterale che nasce dal cuore divino di Gesù, prendendo spunto dalla preghiera di ordinazione sacerdotale.

Caliandro ha subito sgombrato il campo da una tentazione meritocratica che può addensarsi nella vita del prete, quella per cui il ministero non è dono e mistero ma un qualcosa che si raggiunge perché più capaci degli altri.

Le parole di don Gianni: “Fratelli miei, guardiamo al cuore trafitto di Cristo che, nella sua insondabile misericordia, ci ha chiamati ad essere suoi; da quel cuore siamo nati e in quel cuore dobbiamo ricercare la nostra origine, quella che ci fa guardare al nostro ministero presbiterale come ad un dono frutto dell’affetto di predilezione con cui Gesù ci ha amati. Sentiamoci meravigliati, stupiti, quasi increduli dinanzi a tanto amore: sarà la carta vincente per un sacerdozio che parta da Lui, si nutra di Lui e confluisca a Lui”.

Da qui il desiderio di ricentrare la figura del sacerdote che, a causa delle numerose incombenze (anche burocratiche), rischia di impantanarsi, di allontanarsi dalla fonte che è il Signore e di entrare in una sorta di cambiamento di identità: non più un uomo scelto tra gli uomini e per gli uomini per le cose di Dio ma solo scelto per cose umane.

Nuovamente il rettore di Molfetta: “Nel nostro cammino di presbiteri, c’è una tensione che dobbiamo custodire: quella del voler/saper stare con Cristo. Più cresce il nostro legame sponsale e amorevole con Lui e più il nostro ministero diventa fruttuoso. Miei cari, non possiamo non dire che tante nostre crisi, tanti nostri ripensamenti nascono dal nostro essere schiacciati dalle cose del mondo. Siamo, dunque, svuotati di quella linfa vitale che è per noi il motivo del nostro esistere e del nostro essere stati costituiti ministri. Dobbiamo ritornare alle origini: toglierci i calzari davanti alla santità di Dio e avvicinarci a Lui quanto più possibile. Saremo inondati da quel calore che ci rende preti felici, uomini liberi, ministri sempre dediti alla causa”.

Da qui, don Gianni ha indicato tre poli che devono consentire al ministro ordinato di tornare ad essere uomo del Signore: la preghiera, la povertà e la fraternità.

Ha detto: “Il sacerdote è l’uomo che vive la sua nuzialità nel celibato e il suo celibato nella nuzialità. Questa polarità nasce e si vive in una intensa ed autentica vita di preghiera. Davanti al ‘Tre volte Santo’, il prete è chiamato a dover stare. Solo così sarà un prete riuscito ma per fare questo non può non pregare: un prete che non prega è un prete che non fa zampillare l’acqua viva dal suo ministero. La povertà: come Maria il ministro di Dio è grembo che, accogliendo la Parola in uno stile sobrio, si lascia fecondare da Cristo per poterlo donare al mondo. La fraternità come antidoto ad un solipsismo che non è la capacità di saper gustare una solitudine abitata ma la via per vincere la tentazione del ricercare qualcosa che ci allontana dalla motivazione per la quale siamo sacerdoti: Cristo”.

Dopo uno spazio di deserto e di condivisione spirituale, il pranzo fraterno, in un clima di distensione e di allegria ha scandito il rompete le righe e l’arrivederci a settembre: ciascun ministro sarà ora chiamato, in comunione con il suo vescovo, a vivere questo tempo estivo nella voglia di ritemprare corpo e spirito, grato per essere anfora nella quale il Dono divino è contenuto per essere donato a tutti.

 

Photogallery di Arturo Caprioli

 

 

 

 

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