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In vista delle celebrazioni in memoria del trentesimo anniversario della Visita di Giovanni Paolo II alla città e alla Chiesa di Lecce e che culmineranno sabato 9 novembre con l’accoglienza del card. Stanisław Dziwisz, all’epoca segretario particolare del Pontefice polacco, Portalecce pubblica gli interventi ufficiali di quelle due giornate storiche (17 e 18 settembre 1994).

 

 

 

 

Le ultime parole di San Giovanni Paolo II a Lecce, il Pontefice le ha riservate ai giovani in occasione dell’inaugurazione del nuovo seminario. Di seguito il messaggio del Santo Padre ai giovani leccesi.

 

Affido a Maria, Madre della Chiesa, il Sinodo diocesano di Lecce, che oggi incomincia i suoi lavori, e auguro che sia un lavoro fruttuoso, per voi stessi, per la vostra qualità di membra della Chiesa, di pietre vive della Chiesa, di padri di famiglia, di madri di famiglia, di giovani, anche anziani, sacerdoti, religiosi, religiose: che sia fruttuoso il Sinodo per ritrovare un senso più profondo di tutto quello che vuol dire essere cristiano, essere sacerdote, anzi, essere Vescovo, essere Papa, essere religioso, essere persona consacrata, essere giovane, essere scienziato, essere professore universitario, studente. Tutto questo ha una sua connotazione cristiana, anzi, nella fede si trova la profondità di ogni nostra vocazione. E io vi auguro che il Sinodo diocesano vi aiuti a scoprire meglio la vostra vocazione cristiana o le vostre vocazioni cristiane, perché sono molte e diverse, come già ha insegnato San Paolo.

Questa Casa, il Seminario, così vicino alla Casa del Clero, deve aiutare voi, seminaristi, a scoprire la vostra vocazione sacerdotale. Siete ancora giovani. Il sacerdozio è un progetto, è una voce che vi chiama, che sentire nei vostri cuori. Ma dovete ancora provare, dovete sperimentare voi stessi nella preghiera, nello sforzo educativo, intellettuale, dovete ancora provare se questa strada è la vostra, se la voce che vi chiama veramente è voce che viene dal Signore.

La vocazione al sacerdozio, la vocazione che porta in sé ogni Seminario, sia anche la parte privilegiata di questo Seminario che oggi si benedice come edificio, ma soprattutto come comunità di seminaristi, di educatori e di educandi. È bene che la Casa del Clero sia vicina al Seminario, perché così i sacerdoti, qualche volta anche i sacerdoti anziani, possono avvicinarsi ai seminaristi, possono vedere un po’ questa nuova generazione che una volta deve succedere alla loro vocazione, al loro servizio e ministero. È bene che queste due Case siano così vicine, anche geograficamente, topograficamente, e spiritualmente, senza dubbio.

Questa doppia inaugurazione - il Sinodo, che ha una sua caratteristica canonica e pastorale insieme, e il Seminario, con una sua caratteristica ecclesiale così importante per la diocesi di Lecce - avviene alla presenza di tanti giovani. I giovani sono venuti qui per chiedere al Papa, per porre al Papa le loro diverse domande. Mi ha detto l’Arcivescovo Ruppi che erano tante domande e per il Papa sarebbe un lavoro probabilmente impossibile da realizzare: dare risposta ad ogni domanda. Però queste domande numerosissime molte volte si ripetono, perché i giovani hanno problemi molto simili. C’è un denominatore comune a tutte queste domande, a tutti questi problemi della gioventù. E ogni problema ha una sua dimensione personale, che è irripetibile, ma ha anche una sua dimensione comune, comunitaria, perché voi giovani vivete in una certa epoca, in una certa cultura, in una certa civiltà, e le difficoltà che avete e anche le aspirazioni che avete, tutto questo è un po’ comune, benché sempre personale.

Io, che ho avuto tante volte già la possibilità di incontrare giovani in latitudini diverse, in ogni parrocchia romana, in tante diocesi italiane, durante tante visite pastorali nei diversi Paesi, e specialmente durante queste Giornate Mondiali della gioventù, ho potuto vedere, crearmi una visione di quello che è essere giovane, di quello che è la gioventù odierna, dall’ovest all’est, dal nord al sud. Io penso che si deve comprendere l’importanza della giovinezza: che cosa è la giovinezza? Giovinezza è questa epoca della vita umana, dove si progetta tutta la vita. Il giovane comincia a progettare la sua vita e vive con questo progetto e cerca di realizzare questo progetto, di prepararsi alla sua realizzazione. In altre parole, questo si chiama anche vocazione, perché quel progetto che tu, cara ragazza, caro ragazzo, trovi come tua proprietà viene anche nello stesso tempo da Dio, viene suggerito dallo Spirito Santo, e ci vuole una collaborazione con lo Spirito Santo per identificare questo progetto, approfondirlo, e poi per realizzarlo bene, per trovare la felicità, perché il progetto realizzato porta con sé questa felicità, questa felicità a cui Dio ci chiama. Noi siamo tutti chiamati alla felicità in Dio, attraverso questo nostro progetto che viene anche da Lui. Viene accettato da noi, viene realizzato da noi e poi trova la sua ultima tappa in Dio stesso.

Allora, carissimi ragazze e ragazzi, giovani, forse queste brevi parole bastano a riassumere un po’ tutto quello che volevate presentarmi, le vostre domande, le vostre inquietudini, le vostre angosce, i vostri desideri. Io penso di nuovo che San Francesco, in modo geniale, ha saputo rispondere ad ogni epoca del mondo, della storia del mondo, e ai giovani di tutte le epoche, quando cantava il suo “Cantico delle creature”: lodate, lodate! Ecco, questo è lo scopo di tutte le creature e di ciascuno di noi: lodate, date gloria al Signore. Diceva un grande santo e un grande teologo e martire di Lione, in Francia, vissuto nel secolo II, Sant’Ireneo: “Gloria Dei vivens homo”. L’uomo che vive, la persona umana che si realizza, che vive la pienezza della vita umana e divina, questo uomo che vive così è “gloria Dei”.

Allora, auguro a tutti voi giovani di comprendere così la vostra vocazione, di situare così il vostro progetto di vita. Esso può essere diverso, secondo i diversi talenti; però ha un denominatore comune: è sempre un progetto in cui si vuole realizzare, si deve realizzare il progetto di Dio, e Dio vuole per noi tutti che siamo santi, vuole santità per tutti noi e da tutti noi. Questo vi auguro di cuore.

Ancora una parola su questo cuore che vedo, dove sta scritto: “we love you”. Incontro molte volte questa parola e questo cuore. È un simbolo profondo perché questo amore - “we love” - deve venire, viene dallo Spirito Santo. È bene che all’inizio, all’inaugurazione della nostra assemblea il coro ci abbia cantato: “Veni Sancte Spiritus”, perché questa è la preghiera che ci introduce nell’amore, nel vero amore. Ringrazio anche il coro, perché ha cantato il “Tu es Petrus”. I due cantici vanno insieme. Sappiamo bene che Pietro deve essere ministro, servitore di questo amore che costituisce la Chiesa. E ringrazio il Signore che mi ha dato di servire la Chiesa ieri e oggi. Ringrazio che mi ha dato di compiere il Ministero Petrino nella vostra diocesi.

Allora, speriamo che anche il Seminario avrà una vita entusiastica, gioiosa. E speriamo che anche il Sinodo avrà una continuazione entusiastica e gioiosa. Dove è lo Spirito Santo, dove è l’amore, è anche la gioia. Questo vi auguro.

 

 

 

 

 

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