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L’arcivescovo Michele Seccia ha voluto ricordare, proprio nella festa di un sacerdote leccese santo, Filippo Smaldone, oltre che per mons. Ruppi, pure per mons. Mincuzzi, morto dodici anni fa a Bari, sua città natale.

 

Un arcivescovo intensamente innamorato in Cristo: Te Christe solum novi è stato il titolo di una sua pubblicazione, ma soprattutto la sintesi della sua spiritualità.

Pastore della Chiesa di Lecce dal 27 gennaio 1981 al 1989, può essere considerato una figura per molti aspetti originale.

Comunque capace di avvincere. Per la genuinità del suo impegno di essere “servo per amore”, l’appassionato sogno di una Chiesa umile, povera, aperta alla ministerialità, il convinto fervore nella proposta profetica, l’impegno di vivere le relazioni con le realtà sociali e politiche nel nome del Vangelo e della dignità dell’uomo.

Rimane memorabile la sua incantevole e intrigante omelia nell’ingresso nel capoluogo salentino il cinque aprile 1981, quando, con il suo splendido linguaggio, invitò a credere nell’ “impossibile, nell’utopia che è la viva, sconcertante e dolcissima Persona di Gesù”.

 Se mons. Francesco Minerva ha avuto il compito storico di introdurre incisivamente nel rinnovamento conciliare la Chiesa di Lecce, con lui divenuta Arcivescovile e Metropolitana il 5 ottobre 1980, mons. Michele Mincuzzi l’ha guidata a sviluppare in modo più marcato la dimensione dell’attenzione e del dialogo con tutti, e particolarmente con i più emarginati.

Egli si è distinto per aver saputo coniugare l’amore per il Sud con il suo ministero pastorale e la dinamica sensibilità per la promozione umana dei più deboli.

Si può, infatti, ricordare che è stato cappellano degli operai nelle fabbriche “per l’assistenza religiosa e morale”, impegnato accanto ai braccianti di Puglia sin dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, riferimento formativo nella maturazione morale e politica del giovane Aldo Moro, collaboratore per la Pontificia opera di assistenza con mons. Ferdinando Baldelli, in fecondo rapporto culturale e sociale con don Primo Mazzolari, che tra l’altro nel 1949 diede alle stampe un suo contributo sulla rivista Adesso. 

 “Con te – scriveva il 20 gennaio 1989 su Rosso di sera Mario Signore citando lo stesso presule – abbiamo scoperto la Chiesa dell’ascolto, la Chiesa della mediazione attiva, senza compromessi, la Chiesa degli ultimi”.

Mons. Mincuzzi amava Lecce e nello steso tempo sapeva usare accorate e provocatorie sollecitazioni per impegnare tutti, nel pieno rispetto della diversità dei ruoli, per la concreta risoluzione degli atavici e dei nuovi problemi del Meridione.

All’occorrenza, usava pure parole severe. Diceva e scriveva di soffrire per certe situazioni di “Lecce, la bella città che dorme”.

Accanto alla ministerialità dei cristiani laici, sollecitava pertanto responsabili e semplici cittadini a difendere operativamente i diritti della gente, ben consapevole di avere il dovere di promuovere lo sviluppo nella quotidianità, per costruire il futuro cogliendo le attese delle nuove generazioni.

Ci ha voluto bene. Continua ad accompagnarci con il suo amore orante. Testimoniato pure dall’aver voluto essere tumulato proprio nella cattedrale leccese.

 

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