Con le mie nozze nel 1974 mi sono trasferito in viale Lo Re e sono divenuto parrocchiano di Santa Maria della Luce in San Matteo.
La più antica parrocchia di Lecce, dopo la cattedrale, ed ho conosciuto così i vari parroci: don Salvatore Bacca, poi don Franco Leone (per gli amici impertinenti “don chilometro” a motivo della sua altezza) e alla fine il giovane don Pierino Quarta.
Poi il 21 settembre del 1991 l’arcivescovo mons. Ruppi ti ha mandato parroco a San Matteo. Già ti conoscevo per le tue molteplici attività curiali: cancelliere curiale, segretario dei vescovi mons. Minerva e mons. Mincuzzi, ma soprattutto maestro delle liturgie e delle cerimonie episcopali come tuttora sei. Mons. Minerva ti conosceva da seminarista e lui ti aveva inviato a Roma (unico diacono della nostra diocesi) a ricevere l’unzione e l’ordinazione sacerdotale dalle mani di un Pontefice - oggi santo della Chiesa universale - Paolo VI: era il 17 maggio del 1970, or sono cinquant’anni, e tu divenivi sacerdote insieme agli altri 278 provenienti da tutte le diocesi del mondo.
Tu stesso ci hai raccontato che lo stesso mons. Minerva ti inviò a San Matteo a celebrare la prima messa il giorno di Santa Rita (il 22 maggio): un invito che vale quasi una predestinazione. Così iniziò il tuo rapporto con la chiesa di San Matteo. Poi per quasi venti anni hai guardato alla nostra chiesa di San Matteo ricordando la tua devozione per Santa Rita con uno sguardo sempre affettuoso ma un poco forse distaccato perché preso da tanti uffici.
Alla fine quel 21 settembre del 1991 mons. Ruppi ti ha incardinato alla guida della parrocchia di Santa Maria della Luce in San Matteo. E sei diventato uno di noi! Sei venuto alla tua prima esperienza di servizio pastorale: in un territorio - quello della nostra parrocchia - che più di ogni altra parte del centro storico, è luogo di tante povertà vecchie e nuove così diffuse più che mai al giorno d’oggi (disoccupati, extracomunitari, ammalati, persone anziane e sole che tu hai imparato a conoscere incontrandole nelle visite domiciliari, alcolisti, drogati ed altre ancora).
E così è iniziata la tua vita di pastore; avevi allora le mattine impegnate dalle attività curiali, e da quelle scolastiche sino a divenire vice-preside; ma il pomeriggio col tuo passo svelto (allora, oggi un po’ di meno) visitavi le persone anziane e le famiglie degli extracomunitari filippini così diffuse nel nostro territorio. La comunità dei fratelli extracomunitari filippini si è così bene inserita nelle attività pastorali della parrocchia: i bambini frequentano il catechismo e sono più numerosi ormai dei nostri figli; la chiesa si riempie delle loro voci e dei loro canti quando celebrano l’eucaristia domenicale del fanciullo insieme a noi e, talora, nella loro lingua una volta al mese.
Ma il tuo amore per l’antica chiesa parrocchiale si è manifestato anche con tutti gli interventi di restauro da te promossi e per i quali hai trovato finanziatori e sponsor privati, senza gravare sulle casse diocesane e sulle tasche dei parrocchiani; così pure per alcuni affreschi e tele (quasi tutte) presenti sugli altari ed anche per alcune statue fatte restaurare sempre a tue spese o per il tuo intervento. E l’amore per i parrocchiani è stato ricambiato da tutti noi se è vero come è vero che da tutta Italia ed anche da alcuni paesi europei giovani tornano a Lecce per sposarsi nella nostra chiesa e dopo ritornano ancora per battezzare i loro figli. Così è successo anche alle mie nipotine nate a Milano ma qui portate dai loro genitori per essere battezzate.
Ricordo ancora alcuni viaggi fatti con te e con tanti fratelli della nostra parrocchia. Primo tra tutti quello in Terra Santa e poi a Fatima con la sosta a Coimbra presso il monastero di Suor Lucia (dove hai celebrato la santa messa), a Santiago de Compostela; e poi in Polonia presso il santuario di Czestochowa ed infine, ma non ultimo, quello a Santa Rita a Cascia. In alcuni di questi viaggi ti accompagnava la tua cara zia Linda che era per te una seconda madre.
Nella liturgia si vede il tuo amore per Cristo e per sua Madre: come ci insegni a cantare anche nelle messe vespertine dove tutto deve essere a posto, sotto il tuo sguardo vigile tutto deve essere regolare e sempre finalizzato a maggior gloria di Cristo e di Maria.
Ma l’amore tuo più grande l’hai manifestato innanzi tutto per l’eucaristia! Le adorazioni eucaristiche settimanali ti vedono sempre impegnato alla preparazione dei testi ed alla celebrazione delle fasi iniziali e conclusive con la benedizione eucaristica. Questo amore per l’essenza vera dell’eucaristia sei riuscito a trasfonderla in noi tutti come pure la rappresentazione dell’altare della reposizione, per la quale la nostra chiesa è sempre affollata la sera del Giovedì Santo, rende noi, presenti all’adorazione notturna, tutti partecipi realmente del mistero eucaristico.
Sei ormai prossimo a compiere 77 anni ma la memoria di quel fatidico giorno del 17 maggio 1970 la vivi quotidianamente come pure senti nel tuo cuore le parole di quel Santo Pontefice che ti ricordava che il tuo essere prete, il tuo sacerdozio non era per te ma per gli altri, per tutta la Chiesa e per il mondo.
Le tue visite ai malati ogni primo venerdì del mese per portare loro il conforto dell’eucarestia, sono un appuntamento al quale non sei mai mancato: così pure la tua disponibilità nei pomeriggi prima della messa a dare ascolto a ciascuno di noi amministrando il sacramento della misericordia. Così è stato per tanti lunghi anni; la presenza dietro la tua porta, prima e dopo la santa messa vespertina, di tanti poveri che ti chiedono qualcosa per sopravvivere e non vengono mai da te respinti o quanto meno da te indirizzati al Gruppo vincenziano parrocchiale che, malgrado sia rimasto poco numeroso, sotto la tua guida è cresciuto qualitativamente in questi anni. Con questo tuo comportamento hai reso a noi visibili le parole di Gesù Cristo “I poveri li avrete sempre con voi”.
Continua ancora per lunghi anni a pregare per noi che pregheremo sempre per te.
Ad multos annos, don Giancarlo.