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“Un figlio del Salento nato a Vernole il 6 settembre 1930”. Così il cardinale Salvatore De Giorgi si è presentato a Portalecce nell’ INTERVISTA del 3 novembre scorso.

 

 

Una risposta che lo identifica a partire dalle sue origini, che rappresentano le radici di un albero meraviglioso che nel tempo avrebbe portato frutti straordinari per la gloria di Dio e l’edificazione della chiesa universale.

Un albero ben radicato nel terreno da cui prende il nutrimento per vivere, crescere e portare frutto: questa è l’immagine che meglio rappresenta il rapporto tra il cardinale e la sua Vernole.

A Vernole è nato, è cresciuto, ha avvertito i primi segni della vocazione al sacerdozio. A Vernole è rimasto indissolubilmente legato in ogni fase della sua vita, anche quando il ministero episcopale lo ha impegnato lontano dalla sua terra natia: a Oria, a Foggia, a Taranto, a Palermo e, ora, a Roma.

Terzo di otto figli, Salvatore è cresciuto in una famiglia unita, ancorata ai grandi valori della legalità, della fede, dell’amore. In un’epoca di ristrettezze economiche, ha presto imparato ad apprezzare il valore del sacrificio e dell’impegno come via per conseguire gli obiettivi più importanti della vita.

Nel semplice vissuto della Vernole degli anni trenta, il Signore si è compiaciuto di trasmettere a Salvatore il dono della vocazione. Tra le persone di cui il Signore si è servito per rivolgergli la sua chiamata, risalta sicuramente la figura di mons. Gioacchino Pascali, illustre docente di Teologia dogmatica, che dopo la celebrazione domenicale, usava intrattenere i bambini vernolesi sullo stile di San Filippo Neri.

Più volte il cardinale ha riconosciuto l’importanza di questa figura per la sua vocazione e per il suo sacerdozio.

È stata l’ammirazione per i sacerdoti e i seminaristi vernolesi ad accendere nel suo piccolo cuore il desiderio di diventare sacerdote e perciò di entrare in seminario.

Il giorno della mia vestizione clericale (da seminarista ndr) mi sembrò che il Signore avesse ascoltato la mia preghiera”: così il cardinale ha commentato la primissima tappa di un percorso che l’avrebbe portato all’ordinazione sacerdotale.

Il suo legame con la comunità vernolese è stato suggellato proprio il giorno dell’ordinazione. Erano passati molti anni da quella dell’ultimo sacerdote vernolese, don Nicola De Giorgi.

Mons. Minerva, allora vescovo di Lecce, ebbe la felice intuizione di eccepire alla regola e celebrare la messa di ordinazione a Vernole, anziché nella cattedrale di Lecce, per dare un chiaro segnale a tutta la comunità. Fu una grande festa per tutti vernolesi che poterono prendere parte alla messa del vescovo e, il giorno dopo, alla prima messa del novello sacerdote.

Un altro aspetto che qualifica il forte legame del cardinale con la comunità di Vernole è la sua filiale devozione verso i Santi Patroni Gioacchino ed Anna, genitori della Beata Vergine Maria.

“Ho sempre lasciato ogni impegno per venire a Vernole e stare insieme ai miei vernolesi”: così il cardinale ha spiegato il motivo della sua ininterrotta presenza a Vernole nei giorni della festa patronale.

E, in realtà, è impossibile per un vernolese, scindere la festa patronale dalla persona di don Salvatore che ha sempre presieduto la processione della vigilia e il pontificale della solennità. Col passare degli anni la festa patronale è diventata un’occasione per ascoltare il suo illuminato magistero e per rinnovare i vincoli di affetto che legano la sua comunità di origine a Lui e, attraverso di lui, al Papa e alla Chiesa universale.

 

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