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Quasi a fari spenti, a poche ore dalla concelebrazione con il Santo Padre, abbiamo raggiunto telefonicamente il card. Marcello Semeraro.

 

 

Non solo per raccogliere le sue impressioni a caldo ma per cogliere l'intensa profondità del gesto compiuto dal neo porporato dopo la messa in San Pietro e immortalato da uno scatto: la sosta in solitudine e in silenzio davanti alla tomba di San Paolo VI. È noto (CLICCA QUI ), infatti il legame sacerdotale, teologico ed ecclesiologico del cardinale con la figura, il pontificato e la santità di Papa Montini. Ecco perché non poteva mancare l'appuntamento di ieri mezzogiorno, in solitaria e lontano dai riflettori e dal cerimoniale.

 

Giornate di intense emozioni, eminenza, quelle appena trascorse ma, il primo pensiero oggi dopo la messa col Santo Padre, è andato alle Grotte vaticane, in ginocchio da solo alla tomba di San Paolo VI.

Le Grotte Vaticane a mezzogiorno erano praticamente vuote perché le diverse funzioni portavano a tenerle libere però, ci tenevo a vivere personalmente questo momento di incontro e di preghiera davanti a San Paolo VI. Paolo VI è il Papa del mio sacerdozio; Paolo VI è il Papa che mi ha insegnato come si ama la Chiesa; come si dona la vita per la Chiesa e anche come si soffre per la Chiesa. Paolo Vi è stata una fugra chiave per me, per la mia vita di sacerdote, sia prima dell’insegnamento dell’Ecclesiologia, ma poi anche nel vivere il servizio alla Chiesa. Per me era importante avere questo incontro solitario e silenzioso di preghiera. Però davanti alla sua tomba non ho potuto fare nient’altro che ripetere nell’intimo del mio cuore il Magnificat sapendo che questo era l’animo e il cuore di Paolo VI.

 

Al Papa del Concilio ha chiesto, quindi, il sostegno all'inizio del suo nuovo servizio alla Chiesa da cardinale e da Prefetto della Congregazione delle cause dei santi?

Paolo VI è stato anche il Papa che ha dovuto riorganizzare la struttura della Chiesa, della Curia romana e delle altre funzioni per cercare di farla corrispondere alle domande e ai cammini tracciati dal Concilio Vaticano II. Il Vaticano II, infatti è stata la profezia dei tempi moderni, come già diceva San Giovanni Paolo II, ma anche nel pontificato di Papa Francesco è evidente che il punto di riferimento sia il Concilio Vaticano II. Tutti quelli che sono critici nei riguardi delle scelte di Papa Francesco, sono in realtà fondamentalmente critici nei riguardi delle scelte di San Giovanni XXIII, di San Paolo VI e del Concilio Vaticano II. Per queste persone il Concilio non è una profezia! Per me come per Francesco che è figlio del Concilio il Vaticano II è, invece, una grande profezia.

 

Più volte lei hai ripetuto che la “Chiesa in uscita” era già scritta nel Concilio...

La formula è nuova e corrisponde anche ad uno stile letterario di Papa Francesco. Però chi conosce il Concilio Vaticano II, chi né studia l’impianto fondamentale, vede anzitutto che la Chiesa intende riscoprire la sua fedeltà a Cristo, la sua sottomissione totale all’ascolto della Parola del Signore e vuole anche essere una Chiesa che nella sua vita soprattutto in quella liturgica, esprime totalmente la sua fede. In 'Gaudium et Spes', scopre poi una Chiesa che si pone in dialogo con il mondo. È vero che 'Lumen Gentium' è - a mio avviso - la Costituzione dogmatica centrale del Concilio Vaticano II, ma diremmo che lo sbocco conclusivo dell’ecclesiologia del Vaticano II si chiama 'Ad Gentes'. E questo corrisponde al mandato che il Signore Risorto ha dato ai suoi discepoli. Ha detto loro di non starsene chiusi a Gerusalemme. I discepoli da Gesù non sono stati invitati a costituire un’accademia ecclesiastica, una nuova sinagoga. Essi sono stati chiamati ad andare insieme sino ai confini della terra, in tutto il mondo. È questa la “Chiesa in uscita”, non è una Chiesa che esce per passeggiare. È la Chiesa di 'Ad Gentes, è la Chiesa che si rimette in movimento secondo le indicazioni del Signore Gesù.

 

La Chiesa di Lecce le è stata particolarmente vicina con l’affetto e con la preghiera in questi giorni, desidera inviare un messaggio alla sua comunità d'origine attraverso Portalecce?

Certo, ho saputo, sia delle parole del vescovo così benevole nei miei riguardi, così incoraggianti nei riguardi della diocesi, perché non mancasse la preghiera per me. E sono estremamente grato al fratello arcivescovo Michele. So che questo l’ha fatto non solo nella mia parrocchia nativa di Monteroni, ma so che ha voluto estendere l'invito alla lode e al ringraziamento a tutta la diocesi. Anche se le situazioni sanitarie non hanno permesso una vicinanza fisica, tutte queste attenzioni affettuose per me sono state una grande consolazione e un grande conforto. Sapere che la Chiesa che mi ha generato alla vita di fede e dove sono diventato prete e dopo vescovo, questa Chiesa è la Chiesa madre che mi sostiene, mi accompagna e mi guarda con benevolenza.

 

Grazie Eminenza, la aspettiamo a Lecce.

Ascolta l'intervista al cardinale Marcello Semeraro

 

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