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Una tra le più significative e suggestive celebrazioni che ricorre durante l’anno liturgico è la Messa del Crisma, ovvero quella celebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo e concelebrata da tutti i sacerdoti della diocesi, nella chiesa cattedrale, nel corso della quale si benedicono gli oli santi e si consacra il crisma.

 

 

 

 

La benedizione degli oli santi appartiene alla più antica tradizione della Chiesa e una celebrazione strutturata di tale benedizione risale intorno al VII secolo e rimanda all’uso del vescovo di Roma che il giovedì santo nella chiesa del Laterano celebrava a mezzogiorno la Messa in coena Domini, durante la quale consacrava il crisma e benediceva l’olio per gli infermi e l’olio dell’esorcismo.

Il primo formulario di Messa crismale lo troviamo nel Sacramentario Gelasiano, del secolo VIII, che lo colloca tra la Messa di riconciliazione dei penitenti e quella della Cena del Signore; queste tre celebrazioni erano previste per il giovedì santo. Il Sacramentario Gregoriano includerà questo formulario nell’unica Messa prevista per questo giovedì, quella in coena Domini. Nel corso dei secoli, infatti, la Messa per la benedizione degli oli e la consacrazione del crisma andò fondendosi sempre più nelle chiese cattedrali con la Messa del giovedì santo, nella memoria annuale dell’ultima cena del Signore.

Di fronte a tale attestazione storica, ci si chiede come mai questo rito antico sia stato inserito nel giorno del giovedì santo, sebbene non abbia alcun legame diretto con il mistero celebrato in quel giorno, a differenza invece degli evidenti legami con i sacramenti del battesimo (olio dei catecumeni), della cresima (crisma) e con l’unzione dei malati (olio degli infermi). Nondimeno, in epoca antica la benedizione degli oli era normalmente fatta in maniera semplice e autonoma, ovvero prima della celebrazione dei sacramenti e senza legami con la Messa. La motivazione più accreditata dagli storici è che per abbreviare la liturgia della notte pasquale, in tempi molto antichi, fu inserita la benedizione degli oli santi nell’ultimo giorno di quaresima, precedente il sabato santo che fosse “liturgico” o “eucaristico”, ovvero nel giovedì santo.

Attorno al XII e XIII secolo, per venire incontro a determinate esigenze pastorali dell’epoca, le celebrazioni dell’eucaristia furono anticipate al mattino, per cui nelle cattedrali le due celebrazioni del giovedì santo si trovarono inevitabilmente fuse insieme. Pio XII, nel 1955 riportò la celebrazione del Triduo pasquale nelle ore vespertine, restituendo in tal modo alla Messa crismale la possibilità di recuperare la sua originaria identità e autonomia, ponendola al mattino del giovedì santo.

Con il Concilio Vaticano II, la Messa crismale ha avuto una più chiara sistemazione e significato, grazie all’opera della riforma liturgica voluta da Paolo VI, il quale ha voluto introdurre nella Messa la rinnovazione delle promesse sacerdotali, nell’intento di conferire alla Messa crismale la caratteristica di “festa sacerdotale”. Intuizione pastorale, questa, che egli ebbe già da arcivescovo di Milano, quando ogni anno puntualizzava per il clero ambrosiano questo particolare significato del giovedì santo.

Il desiderio di Paolo VI, di istituire una festa del sacerdozio ha trovato ampia e pratica accoglienza nell’annuale appuntamento della Messa crismale che costituisce ormai da oltre cinquant’anni un evento spirituale di particolare importanza per i sacerdoti di una diocesi. La Lettera circolare della Congregazione per il Culto Divino del 1988 ricorda che la Messa crismale «è una manifestazione della comunione dei presbiteri con il proprio vescovo nell’unico e medesimo sacerdozio e ministero di Cristo».

La nuova fisionomia attribuita dalla riforma conciliare alla Messa crismale mette in risalto il clima di una vera festa del sacerdozio ministeriale, da comprendersi all’interno di tutto il popolo sacerdotale, e orienta l’attenzione verso il Cristo, il cui nome significa «consacrato per mezzo dell’unzione» (cf. Lc 4,18; At 10,38). È a partire da questo fondamento cristologico dell’unzione crismale che prende consistenza e valore la consacrazione dei fedeli e di conseguenza il nome di «cristiani» (cf. At 11,26).

La succitata Lettera circolare, dopo aver esortato i sacerdoti a concelebrare tale Messa, in quanto testimoni e cooperatori del vescovo nella consacrazione del crisma e suoi cooperatori e consiglieri nel ministero, invita con una certa insistenza anche i fedeli a prendere parte a questa celebrazione. In tal senso la Messa crismale, colta nel suo significato originario, diventa celebrazione di tutto il sacerdozio cristiano, non solo di quello ministeriale, ma anche di quello comune di ogni battezzato.

Due elementi vanno certamente sottolineati in questa celebrazione: la rinnovazione delle promesse sacerdotali e la benedizione degli oli santi.

Dopo l’omelia del Vescovo, in questo giorno, natale del sacerdozio ministeriale, i sacerdoti rinnovano la loro fedeltà a Cristo, la loro obbedienza al Vescovo e la piena disponibilità al servizio del popolo di Dio. A questo atto il popolo partecipa accompagnando i sacerdoti con la preghiera perché siano fedeli al ministero loro affidato.

Dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, ha luogo la benedizione degli oli santi. Il rito della benedizione degli oli sottolinea il mistero della chiesa come sacramento globale di Cristo, che santifica ogni realtà e situazione di vita. Ecco perché, insieme al crisma, sono benedetti anche l’olio dei catecumeni per quanti lottano per vincere lo spirito del male in vista degli impegni battesimali e l’olio degli infermi per l’unzione sacramentale di coloro che nella malattia compiono in sé ciò che manca alla passione redentrice di Cristo. In tal modo, dal capo si diffonde in tutte le membra della Chiesa e si espande nel mondo il buon odore di Cristo.

La Messa crismale è di norma (ad eccezione degli ultimi due anni per via delle restrizioni richieste dalla pandemia in corso a causa della quale nella Chiesa di Lecce lo scorso anno è stata celebrata in concomitanza con la Veglia di Pentecoste e quest’anno, invece il prossimo mercoledì 14 aprile, a pochi giorni dalla Domenica in albis) collocata in prossimità dell’annuale celebrazione del Cristo morto, sepolto e risuscitato, in quanto è dal mistero pasquale, cuore e centro dell’intera storia della salvezza, che scaturiscono i sacramenti e sacramentali che significano e realizzano l’unità di tutta la vita cristiana.

A causa dell’attuale situazione, non è stato possibile celebrare la Messa crismale nella Settimana Santa, ma lo diventa ora in una modalità del tutto particolare ma non priva di senso teologico-liturgico.

Il tempo di Pasqua, che inizia con la domenica di Risurrezione e si protrae per cinquanta giorni fino alla solennità di Pentecoste, è considerato dai Padri come un esteso spazio che prolunga l’evento della Pasqua, e si celebrano nella gioia come “un unico grande giorno”, “una sola grande domenica”, nella quale la Chiesa esulta, con il canto dell’Alleluia, per la vittoria del Signore sulla morte e per la vita nuova che la partecipazione al mistero pasquale aveva fatto germogliare nei credenti.

Massimo di Torino (V sec.) afferma che i cinquanta giorni del tempo di Pasqua erano vissuti come “una perenne e ininterrotta festività” nella quale si celebrava nella gioia la risurrezione del Signore: «A guisa… della domenica tutto il corso dei cinquanta giorni è celebrato e tutti questi giorni sono considerati come domeniche; la risurrezione, infatti, è di domenica. La domenica il Salvatore risorgendo ritornò tra gli uomini e dopo la risurrezione rimase con gli uomini per tutto il periodo di cinquanta giorni. Era dunque necessario che fosse uguale la festività di quei giorni dei quali era uguale anche la sacralità» (Serm., 44,1). Anche Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto del IV secolo, sostiene che i cinquanta giorni, nei quali si pregusta sulla terra, ciò che vivremo nel mondo futuro, sono “caparra” della vita eterna

È «la celebrazione pasquale nel tempo sacro dei cinquanta giorni» secondo l’espressione dell’orazione colletta della Messa vespertina nella Vigilia della domenica di Pentecoste. Il tempo pasquale celebra la presenza di Cristo in mezzo ai discepoli, la sua dinamica manifestazione nei segni che diventeranno dopo la sua Ascensione il prolungamento del suo corpo glorioso: la parola, i sacramenti, l’Eucaristia.

Questo periodo, nel quale si distende l’esperienza pasquale dei discepoli di Cristo, è il tempo opportuno per la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana che hanno il loro fondamento solido della Pasqua di Cristo nella quale l’uomo diventa creatura nuova nel Battesimo e nella partecipazione eucaristica grazie all’azione dello Spirito Santo.

 

                                                                                            

*Docente presso il Pontifico Ateneo Sant’Anselmo – Roma

 

 

 

 

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