Se don Marcello (come lo chiamano tutti i suoi concittadini a Monteroni di Lecce) sapesse che in questi giorni mi sarei dedicato, insieme ad altri, a pubblicare su Portalecce un articolo sul suo cinquantesimo anniversario di sacerdozio, mi avrebbe sicuramente detto: “lascia perdere”: perché so bene che è un uomo senza tanti fronzoli. Soprattutto quando si deve parlare di lui.
“Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche comunione di spirito, renderete piena la mia gioia. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio ma anche quello degli altri” (Fil 2,1-2). Mi piace pensare che questo brano racchiuda il segreto del ministero sacerdotale ed episcopale del caro don Marcello.
La vita di una persona è fatta di tanti momenti felici e di altri meno sereni. E richiede spesso decisioni importanti. Il nostro “amatissimo” don Marcello ha sicuramente scelto la strada giusta sin da subito. Non solo per essere diventato sacerdote (appunto l’8 settembre del 1971), ma soprattutto per aver messo la sua vita a totale servizio della Chiesa, la sua sposa da 50 anni.
Sento, pertanto, il dovere e il piacere di esprimere e ribadire, a nome di tutta la comunità parrocchiale che lo ha visto nascere, nel quale ha ricevuto il sacramento del battesimo e nella cui chiesa è stato ordinato sacerdote e alla quale è rimasto sempre legato, l’affetto per un sacerdote, un vescovo e un cardinale che è un “monteronese doc”.
50 anni! Un periodo così lungo durante il quale il vescovo Marcello è stato guida per le diverse generazioni di giovani seminaristi che si sono formati nei seminari di Lecce, di Molfetta e di Roma e faro per le due comunità diocesane che hanno avuto la grazia di averlo come pastore.
Molte volte sentiamo pronunciare frasi del tipo: “ma cosa fa un prete?”, pensando che la risposta sia scontata: il sacerdote celebra la Santa Messa, si occupa delle cose della parrocchia, etc. In realtà, a una domanda in apparenza banale, la risposta è tutt’altro che scontata, perché ci sarebbero da dire davvero tante cose. Il punto non è, si lasci passare l’espressione, “occuparsi delle cose religiose”, in quanto ne uscirebbe un ritratto del “don Abbondio manzoniano”; il punto è concentrarsi sulla persona del sacerdote. E tutti quelli che hanno conosciuto don Marcello sanno bene che la sua vita è stata dedita a tante cose. Ecco allora che celebrare l’eucarestia, proclamare la Parola di Dio, ascoltare e consigliare giovani che si formano in seminario, pregare per le vocazioni, studiare e fare innamorare dello studio teologico, amministrare i sacramenti, portare conforto ai bisognosi… sono tutte azioni che assumono una dimensione più concreta e umana, che rende viva e feconda la figura del sacerdote e del pastore. E sicuramente molti ricordano nel loro intimo ogni momento di gioia, di prova e di dolore condiviso con il caro don Marcello.
50 anni! Di fedele sacerdozio, è per tutti un esempio di come il nostro “monsignore” ha saputo corrispondere al dono ricevuto con perseverante responsabilità, cioè con una compiuta volontà di vivere in totale comunione con e per gli altri. Di vivere al servizio della gioia e della speranza di ogni uomo ma anche condividendo il peso delle responsabilità, delle difficoltà e delle prove scegliendo la compassione e la partecipazione per “stare” sempre vicino a chi è più debole, fragile e piccolo.
Nell’omelia del Concistoro del 28 novembre 2020 nella Basilica Vaticana, Papa Francesco ha affermato che la “strada” è l’ambiente in cui sempre si svolge il cammino della Chiesa. Non è solo uno “sfondo”, è una “indicazione di percorso” per noi che oggi siamo in cammino insieme con Gesù, che procede sulla strada dinanzi a noi. Lui è il fine e il senso della nostra vita e del nostro ministero.
Papa Francesco ha scelto don Marcello quale nuovo cardinale, affidandogli un compito quanto mai importante: quello di essere cardine, il punto di riferimento per ognuno di noi, per la nostra comunità, per tutta la Chiesa.
Noi ne abbiamo bisogno, la Chiesa ne ha bisogno, soprattutto in questo tempo, così difficile da affrontare, dove le numerose incertezze, le paure, le difficoltà acuiscono le sofferenze e pongono le persone e le famiglie in una situazione di grande preoccupazione e di profondo smarrimento.
Il racconto della tua vita, eminenza, vale molto di più delle mie piccole considerazioni: è l’intreccio tra la dimensione teologico/spirituale e quella umana del tuo essere quotidiano: per tanti di noi sei un padre, un fratello, un pastore, un amico, un teologo, una guida.
L’umiltà, la generosità e la concretezza sono state le caratteristiche che ti hanno sempre contraddistinto nel corso della tua vita, come sacerdote prima e come pastore oggi.
Come docente di ecclesiologia, ci hai trasmesso l’amore per la ricerca teologica, la passione per i grandi maestri e i Padri della Chiesa e, con una attenzione del tutto particolare, ci hai stimolato ad approfondire la lezione del Vaticano II, cui hai dedicato tanti suoi scritti e hai fatto appassionare i tanti studenti che hai potuto accompagnare nei vari percorsi di formazione teologica.
In questi anni al servizio della Chiesa che è in Oria prima, e in Albano poi e, soprattutto, in quella universale guidata da Papa Francesco sei stato espressione di servizio alla Chiesa delle periferie, degli scartati, degli ultimi… a quella Chiesa in uscita attenta alle diversità e alla lettura in chiave antropologica e culturale del cambio epocale che viviamo. Un pastore di riferimento vicino a tutti e attento a chi è più fragile e ha bisogno di maggiore accoglienza.
Eminenza reverendissima, con le parole di Papa Francesco noi ti chiediamo di “amare con amore di padre e di fratello tutti coloro che Dio ti affida: anzitutto i sacerdoti e i diaconi, i consacrati, l’intero Popolo di Dio, soprattutto i poveri, gli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto. Esorta i fedeli laici a cooperare all'impegno apostolico e gli ascolti volentieri. Poni viva attenzione a quanti non appartengono all'unico ovile di Cristo, perché essi pure ti sono stati affidati nel Signore. E prega per tutti noi. Veglia, veglia con amore su tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo ti pone a reggere la Chiesa di Dio”.
Per molti monteronesi don Marcello rappresenta l’uomo saggio: glielo leggi nel sorriso. L’esperienza lo ha plasmato. Lui conosce le persone, i fatti, le situazioni. Quando parli con lui è interessante ascoltarlo come anche quando tace.
E una fortuna avere in parrocchia un pastore, che quando viene qualche giorno a Monteroni per riposarsi, non parla della Chiesa solo perché ha studiato o per l’ufficio che occupa, ma perché la vive personalmente. Quello che mi stupisce di don Marcello è la serenità e la battuta sempre pronta, magari in dialetto leccese, che aiuta a guardare le cose con realismo e buon senso; così come quella visione aperta di Chiesa che fa così bene sentire da un pastore giovane dentro. La fedeltà di una vita donata per il Signore è un vaso prezioso che onora la casa dove si trova e noi abbiamo questo dono.
“La Chiesa ha bisogno di pastori, che sappiano mettersi in ginocchio davanti agli altri per lavare loro i piedi. Pastori vicini alla gente, padri e fratelli miti, pazienti e misericordiosi; che amano la povertà, si come libertà per il Signore, sia come semplicità ed austerità di vita”. In te, carissimo don Marcello, tutto lo abbiamo incontrato e continuiamo a sperimentarlo. Grazie!
E grazie per i tuoi 50 anni di vita sacerdotale al servizio totale della Chiesa.