Oltre che un dono, la sinodalità è un compito, anzi una sfida. Accettarla non è un’operazione di facciata che lascia le cose come sono e neanche un’attività che si aggiunge a quelle che già ci sono: è piuttosto mettersi completamente in gioco, disposti a camminare insieme col popolo di Dio, anche a costo di lasciare convinzioni e prassi pastorali consolidate.
È con questo spirito che, le chiese locali hanno intrapreso la fase diocesana della consultazione sinodale. Mentre scrivo, i percorsi sinodali sono in pieno svolgimento ad ogni livello. Anche la comunità parrocchiale di Vernole ha accettato la sfida della sinodalità.
Nella prima assemblea sinodale ho richiamato ai presenti lo scopo della conversazione spirituale e gli atteggiamenti richiesti per non cadere nel dibattito o nella discussione. L’obiettivo da conseguire è creare un’atmosfera di fiducia e accoglienza, che consenta a tutti di esprimersi liberamente. Durante la conversazione, l’attenzione va rivolta allo Spirito che parla in noi e nei fratelli. Questo richiede la volontà di ascoltare attivamente, per accogliere ciò che l’altro dice, senza giudicarlo, e la volontà di parlare col cuore, cioè di condividere la verità come la vediamo e la sentiamo, senza pretendere di imporla agli altri. I tempi della conversazione spirituale sono essenzialmente tre: il silenzio iniziale per la riflessione personale, la condivisione, un altro tempo di silenzio in cui i partecipanti osservano come si sono sentiti coinvolti durante la conversazione.
Dopo l’invocazione dello Spirito santo, i fedeli sono stati invitati a riflettere sulle seguenti domande: Secondo te, che cosa serve per camminare insieme con Gesù? Secondo te, Che cosa si oppone al camminare insieme?
Ecco l’elenco di ciò che serve per camminare insieme: amore vicendevole; carità; condividere i problemi; confidare in dio; conoscere la parola; coraggio di seguire Gesù; credere in ciò che si fa; cuore aperto e docile; disponibilità a servire i fratelli; disponibilità ad ascoltare il signore; gratitudine; guardare gli altri con o sguardo di Gesù; pazienza;
scegliere di vivere secondo l’esempio di Gesù; umiltà.
Ecco invece che cosa si oppone al camminare insieme: debolezze; distrazione; dubbio; fretta; mancanza di fiducia in Dio; mancanza di occasioni per conoscersi; mancanza di trasparenza; orgoglio; pigrizia; rifiuto di ascoltare.
Nella seconda assemblea ho privilegiato un approccio auto-biografico, per consentire ai sinodali di raccontarsi a partire da un’esperienza personale.
Dopo l’invocazione dello Spirito, i presenti hanno riflettuto sulla seguente traccia: In silenzio penso a un’esperienza personale in cui ho camminato insieme con i miei fratelli e le mie sorelle nella fede: che cosa è successo? Come mi sono sentito? In che modo sono stato un buon compagno per gli altri? In che modo gli altri sono stati dei buoni compagni per me?
Queste sono state le risposte più significative:
- Quando ero piccola, arrivò da noi una bambina proveniente dal Belgio: era emarginata da tutti. Ho cercato di coinvolgerla, di aiutarla ad inserirsi nella nostra comunità. Ho scoperto il valore dell’amore, della solidarietà, della fratellanza.
- Ho pensato a quando le vicine di casa mi hanno chiesto di recitare il rosario insieme con loro. Pregare col rosario ci ha avvicinati a Maria e tra noi. Poi ho pensato all’esperienza vissuta nella comunità neocatecumenale: ho avuto modo di confrontarmi con altre persone e di conoscere meglio la Parola di Dio.
- Prima di intraprendere il cammino di fede, davo tutto per scontato. Poi ho capito che non conoscevo il Signore: mi sono incuriosita, ho trovato pace.
- Da ragazza ho frequentato la scuola di lavoro guidata dalle suore stimmatine: ho ricevuto tanti buoni esempi e insegnamenti. Dopo la morte di mio marito, sono entrata nella comunità neocatecumenale: ho conosciuto meglio il Signore.
- Un’anziana vicina di casa si lamentava di non riuscire a fare la spesa. Un giorno ho deciso di aiutarla: ho continuato a farlo per dieci anni. Mentre stavo con lei, mi raccontava la sua esperienza, la comunione che c’era tra gli abitanti del suo paese di origine.
- Ho pensato alla messa dedicata agli ammalati e agli anziani, nella vigilia della festa patronale. Per anni mi sono resa disponibile ad accompagnare in chiesa varie persone.
- Per vari anni ho frequentato il cammino neocatecumenale: eravamo sinceri, abbiamo stretto legami fraterni. Anche dopo aver lasciato il cammino, mantengo buoni rapporti con i fratelli della comunità.
- Anch’io ho pensato all’esperienza vissuta nella comunità neocatecumenale: mi sono reso disponibile verso i fratelli, ho conosciuto meglio la Parola.
- Per vari anni, durante il mese di maggio, con i miei vicini di casa ci radunavamo ogni giorno per la recita del rosario. Dopo la preghiera ci fermavamo volentieri e condividevamo le nostre esperienze.
- Il vescovo doveva inaugurare la cappella della Visitazione dopo il restauro. Il parroco mi chiese di aiutarlo nella pulizia della cappella: lavorai per ore. La sera, prima della messa, l’accolito mi fece indossare il suo camice: per la prima volta partecipai alla messa come ministrante.
Nella terza assemblea ho invitato i sinodali a confrontarsi con il primo sinodo (o concilio) della storia, quello raccontato in At 15. L’approccio scritturale avrebbe consentito loro di valutare in che modo la chiesa delle origini ha affrontato e superato un problema che rischiava di compromettere la meravigliosa comunione che la animava e la vigorosa missione di cui era protagonista1
Dopo la lectio di At 15, ho sottoposto ai presenti la domanda: Secondo te, qual è la missione della chiesa nel mondo?
L’assemblea ha risposto così: aiutare i poveri; costruire la pace; dare agli uomini la vita; evangelizzare i giovani; far conoscere l’amore di Cristo; formare alla fede e alla concordia; mettere in pratica la Parola; portare la pace agli uomini; predicare la Parola; unire gli uomini attraverso la preghiera.
Nella quarta ed ultima assemblea, ho richiamato le conclusioni della lectio di At 15 e posto le seguenti domande: Qual è il tuo posto nella missione della chiesa? Come sei arrivato a scoprirlo? Alla luce della tua esperienza, in che modo la comunità cristiana deve aiutare i suoi membri a scoprire e realizzare la loro missione?
Queste sono state le risposte più significative.
- Il mio posto nella missione della Chiesa è apprendere la Parola di Dio ed evangelizzarla. Abbiamo bisogno di occasioni come queste assemblee, per confrontarci tra di noi.
- Il mio posto nella missione nella Chiesa è evangelizzare: testimoniare agli altri quello che Dio ha fatto nella mia vita. L’ho scoperto nel cammino neocatecumenale. Secondo me la comunità cristiana dovrebbe aiutare i fedeli a confrontarsi con la Parola. Solo così ciascuno potrà capire il carisma che lo Spirito gli dona, per attuare la missione della chiesa.
- Nella missione della Chiesa sento di fare poco, quasi nulla. Per capire il mio posto, penso sia importante ascoltare la Parola di Dio. La comunità cristiana può aiutare i fedeli in vari modi: se c’è amore e condivisione, gli altri lo percepiscono, anche se non parlano la nostra lingua.
- Il mio posto nella missione della Chiesa è partecipare ala messa, ascoltare la Parola di Dio, pregare: l’ho ha imparato fin da piccola, in famiglia e nell’Azione cattolica. La comunità può aiutare attraverso le associazioni e i movimenti.
- Da giovane pensavo di avere un posto nella Chiesa. In questo momento mi sento vulnerabile, ho bisogno di aiuto. Quando mi sento sola cerco rifugio nella Chiesa.
- Il mio posto nella missione della Chiesa è ascoltare la Parola di Dio, pregare personalmente e con i fratelli. La comunità può aiutare i fedeli favorendo occasioni di dialogo e condivisione.
- Il mio posto nella missione della Chiesa è trasmettere la mia esperienza di fede. Sono arrivata scoprirlo nel cammino neocatecumenale. La comunità può aiutarci attraverso la predicazione della Parola.
- Ascoltare la Parola di Dio è essenziale, perché solo nell’ascolto matura la conversione del cuore. L’ho scoperto nel mio cammino di fede. La comunità cristiana ci può aiutare trasmettendoci la Parola di Dio.
- Nella Chiesa cerco di osservare i comandamenti e il Vangelo: me lo hanno insegnato i miei genitori. La comunità può aiutarci, offrendoci sempre nuove occasioni per condividere la nostra esperienza.
- Il mio posto nella missione della Chiesa è mettermi a disposizione della mia comunità: sono arrivato a scoprirlo nel cammino neocatecumenale. Penso che il cammino neocatecumenale possa servire a tanti altri. Serve comunque l’esempio positivo dei fratelli.
- Il mio posto nella missione della Chiesa è vivere secondo il Vangelo. Nella comunità è importante l’educazione alla fede: aiutare i battezzati a dare il meglio di sé, ad esprimere i propri sentimenti migliori.
- Vedo persone che si impegnano nella Chiesa e sento che potrei fare molto di più. Cerco di adempiere i miei doveri familiari. Ho bisogno di essere stimolata dalla comunità.
Conclusione
La fase diocesana della consultazione sinodale incontra la parrocchia in una fase storica in cui è chiamata a riformarsi, per continuare ad essere la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie (Giovanni Paolo II, Christifideles laici 26.). Grazie alla sua grande plasticità, essa può assumere forme adatte alle nuove esigenze dell’evangelizzazione e divenire ambito di comunione e partecipazione, orientato completamente verso la missione: comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Questo però suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi (cf. EG 28).
Un sinodo sulla sinodalità appare sempre più come quel dono e quella sfida capaci di aiutare la parrocchia a rinnovarsi, ad attivare un dinamismo che la porti vivere la comunione, a realizzare la partecipazione e ad aprirsi alla missione. All’interno di una chiesa sinodale la parrocchia non potrà concepirsi e qualificarsi che come comunità sinodale.
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1L’adesione dei pagani alla fede creava problemi ai fratelli provenienti dal giudaismo, e precisamente, la domanda: come frequentare persone non circoncise senza contrarre impurità legale? (cf. Nota della Bibbia di Gerusalemme ad At 15, 20). Una delegazione della chiesa di Antiochia si reca a Gerusalemme, per sottoporre la questione agli apostoli. Nell’assemblea presieduta da Pietro, Giacomo e Giovanni, si apre un lungo dibattito in cui i giudeo-cristiani da una parte, Bàrnaba e Paolo dall’altra, motivano le rispettive posizioni in merito alla proposta di imporre agli ellenisti la circoncisione. Dopo aver ascoltato tutti, Pietro si alza e indica la direzione: Dio ha concesso anche a loro, come a noi lo Spirito santo; ha purificato i loro cuori con la fede; noi e loro siamo salvati per la grazia del Signore (cf. At 15, 2-11). Al discorso di Pietro segue un silenzio molto significativo: i componenti delle due fazioni si acquietano. Bàrnaba e Paolo raccontano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro. Alla fine Giacomo, vicario di Pietro nella chiesa di Gerusalemme, aggiunge alla prova addotta da Pietro una basata sulle Scritture (Am 9,11ss). Su queste basi, avanza la sua proposta: non imporre la circoncisione agli ellenisti ma chiedere loro di astenersi da quei comportamenti che potevano urtare la sensibilità religiosa dei fratelli provenienti dal giudaismo. La proposta viene accolta all’unanimità e trasmessa alla chiesa di Antiochia in una lettera contenente le conclusioni del sinodo di Gerusalemme: Abbiamo deciso, lo Spirito santo e noi… (At 15, 26). Lo Spirito santo ha parlato alla chiesa; la sua voce è stata recepita attraverso un processo di ascolto e di discernimento).