L’arcivescovo Michele Seccia, da oggi sarà a Lequile per compiere, anche nel comune alle porte di Lecce, iniziando dalla parrocchia di Maria SS. Assunta, la sua Visita Pastorale. Don Massimiliano Mazzotta, da alcuni mesi amministratore parrocchiale della matrice, pur limitato nella conoscenza approfondita della comunità dalla brevità del tempo, ha accettato di rispondere alle domande di Portalecce.
Don Massimiliano, quale realtà sociale e parrocchiale troverà l’arcivescovo venendo in visita pastorale a Lequile nella comunità parrocchiale di Maria SS. Assunta?
L’arcivescovo troverà una comunità non facile, certamente provata in questi ultimi mesi ma con tanta, troppa voglia di ripartire e rinascere. Nel recente incontro con uno dei convisitatori, forse, ha fatto specie che ancor più che del vescovo, la comunità della matrice di Lequile stia attendendo il parroco. Senza nulla togliere al pastore della diocesi, ovviamente, dal confronto è emersa la necessità di recuperare terreno, dopo un tempo di prova a cui i fedeli sono stati chiamati ed hanno risposto con senso di maturità e animati da forte fede. Nell’avvento del nuovo parroco, essi, infatti, intravedono l’opportunità di riprendere un cammino interrotto. Forse, fino a qualche mese fa, avrebbero chiuso le porte del cuore e non solo quelle. Ma ora sentono dominante il bisogno di non lasciarsi andare, di non disperdersi, di ritrovare il senso ed il valore dell’essere “comunità di chiamati”, “ecclesia” per l’appunto e rispondere alla vocazione cui la volontà divina li ha predestinati.
Quali sono i punti deboli e le fragilità più evidenti della tua comunità nei tre ambiti di liturgia, catechesi e carità?
Pur nella brevità del tempo in cui ho “accompagnato” questa comunità ho dovuto - mio malgrado - registrare un eccesso di devozionismo soprattutto incentrato sulla figura del patrono, San Vito a cui si dedica quasi un intero mese per festeggiarlo. Mi sembra alquanto eccessivo se poi nel corso dell’anno pastorale le attività si riducono al lumicino e ci si limita solo alla ordinarietà magari finalizzata alla celebrazione dei Sacramenti dell’iniziazione cristiana e nulla di più. E, a proposito di catechesi e scuola catechistica, non è certo un bene che vi sia un depauperamento numerico di chi frequenta perché si tende ad una “migrazione” verso la parrocchia viciniora; un esodo dovuto anche e soprattutto al fatto che si tratta di una parrocchia più giovane e dotata di strutture che meglio si prestano all’accoglienza ed all’animazione dei ragazzi. Fatto questo che non può invece aver luogo nella parrocchia matrice dove le strutture pagano il prezzo di 25 anni di trascuratezza. È invece da elogiare - e perché no? - da emulare il modello organizzativo della Caritas che a Lequile è stata organizzata a livello interparrocchiale. Perché il povero non ha un campanile di riferimento, ma deve avere la Chiesa. Quella stessa Chiesa in uscita di cui tanto ci parla Papa Francesco, una Chiesa che si rifiuta di rimanere chiusa in se stessa, tra gente amorfa e autoreferenziale. Una Chiesa che sceglie di mettersi in ascolto della vita reale delle persone e di respirare con quello che succede all’esterno. Ecco, domandiamoci sempre: chi è il povero? Il povero mette a nudo ciò che realmente siamo, privandoci delle nostre difese e dei nostri schemi. È un appello alla nostra conversione perché è facile essere buoni con le parole. Più difficile esserlo con il cuore. Magari questo ci spiazza come sacerdoti, ci rende forse più fragili, ma sicuramente più veri.
Che cosa vi attendete dalla Visita Pastorale e quali sono gli obiettivi da raggiungere a breve e media scadenza?
Anzitutto servono nuovi investimenti. Ci auguriamo che l’arcivescovo possa avere immediata contezza della situazione reale (e nient’affatto edulcorata) della comunità parrocchiale che da oggi e fino a domenica visiterà. E magari - se lo riterrà opportuno - affiancare al nuovo parroco, a don Michele, per qualche tempo, un confratello che gli dia manforte nel ripartire. Affinché, come cellula parrocchiale, ci si senta sempre più parte di un corpo più grande che è la famiglia diocesana, nella Chiesa particolare che è rappresentata dal pastore della diocesi che, in questi giorni, percorrerà le strade di un paese che non intende essere secondo a nessuno.