Mai come in questa occasione un Documento di economia e finanza, il Def approvato dal Parlamento in questi giorni, mostra dei limiti. E questa volta non potrebbe essere altrimenti.
È uno strumento del Governo per indicare gli obiettivi di medio-termine mentre si vive alla giornata il conflitto armato in piena Europa. Con un massacro di civili e militari in territorio ucraino che potrebbe estendersi e prolungarsi per mesi è impossibile fare previsioni credibili sulle ricadute economiche. Perché la priorità è giustamente un’altra. Le sanzioni economiche contro Mosca, il blocco del commercio e i costi energetici fuori controllo sono conseguenze dell’invasione russa e il dramma umano non può essere ricondotto a percentuali. Anche quando si è obbligati a farle.
Gli economisti più seri lo sanno e sono prudenti nell’indicare scenari. Non si può dire conclusa la pandemia, altro evento sconvolgente di un pessimo inizio decennio. Ogni previsione sarebbe contestabile dall’inizio. In tempi normali un Def sarebbe una contrattazione tra Governo, partiti e forze economiche per distribuire le scarse risorse e per l’Italia, così è stato per decenni, il punto di osservazione per valutare il rispetto dei vincoli di debito pubblico. Un Documento di buoni propositi da verificare nei mesi successivi.
Rileggere il Def approvato il 9 aprile del 2019 è come tornare in un altro mondo, quando il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, indicava come obiettivo fondamentale “il ritorno a una fase di sviluppo economico contraddistinta da un miglioramento dell’inclusione sociale e della qualità della vita, tale da garantire la riduzione della povertà e la garanzia dell’accesso alla formazione e al lavoro. Agendo per invertire il trend demografico negativo”.
A tre anni da quella data, le emergenze hanno sconvolto tutto: i soldi (un debito che dovrà essere gestito in futuro) ci sono e nel Def 2022 si dice che il Governo dovrà valutare la necessità di eventuali scostamenti futuri “se lo scenario dovesse peggiorare”. Lo scostamento di bilancio non è più un tabù.
Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha già ammesso che i 5-6 miliardi previsti per aiutare famiglie e imprese “probabilmente non saranno sufficienti”. A un anno dalle elezioni politiche non è mancato il tira e molla dei partiti su singole voci del Documento. Gli eventi in corso sono però troppo sconvolgenti per soffermarsi su un Superbonus per le villette o altro.