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Portalecce volentieri ripropone l’articolo apparso domenica scorsa su “Nuovo Quotidiano di Puglia” a firma del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leucamons. Vito Angiuli.

 

 

 

La guerra in Ucraina, con i suoi orrori e le sue tragedie umane, ha posto in campo una serie di questioni riguardanti una differente visione geopolitica, un nuovo modo di intendere i rapporti tra gli Stati, una rinnovata corsa agli armamenti, una diversa organizzazione sociale ed economica, una contrastante visione culturale e, non da ultimo, un problema di natura religiosa.

In una situazione estremamente confusa tre mi sembrano i punti di riferimento per l’avvio di una possibile soluzione del conflitto: le lodevoli iniziative messe in atto dalla Santa Sede e da Papa Francesco perché si arrivi alla pace; il prezioso suggerimento del presidente italiano, Sergio Mattarella, che ha evocato lo «spirito di Helsinki» (e non di «Yalta»); la realistica e profetica analisi di H. Kissinger che vale la pena di richiamare.

In un articolo intitolato «Per risolvere la crisi ucraina, si cominci dalla fine», egli commentava gli effetti della rivoluzione di Majdan a cavallo tra il 2013 e il 2014. Nella sua analisi, Kissinger poneva i seguenti punti fondamentali per trovare un accordo duraturo: l’Ucraina «non doveva essere l’avamposto di una delle due parti contro l’altra, ma funzionare come un ponte tra loro»; la Russia, «doveva capire che cercare di costringere l’Ucraina a uno status di satellite condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia ciclica di pressioni reciproche con l’Europa e gli Stati Uniti»; l’Occidente «doveva capire che, per la Russia, l’Ucraina non potrà mai essere solo un paese straniero, ha una storia complessa e una composizione poliglotta. L’ovest è in gran parte cattolico; l’est in gran parte russo-ortodosso. L’ovest parla ucraino; l’est parla soprattutto russo». Infine, egli avvertiva che «la Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi e per l’Occidente la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l’assenza di una politica».

Rimanendo sul piano strettamente religioso, in estrema sintesi e con rammarico, bisogna constatare lo stallo che si è creato tra le diverse confessioni cristiane e anche all’interno di esse, al punto che i proficui incontri ecumenici, protrattisi per tanti anni in vista di ritrovare l’unità visibile della Chiesa, sono stati compromessi nel breve spazio di alcuni mesi. Da una parte, è stata riesumata la visione della religione come “instrumentum regni” e dall’altra si va progressivamente e inesorabilmente scivolando verso la ripresa dell’idea pagana della “religione civile”, aggiornata e riproposta come “religione laica”1.

Nel primo caso è stata rilanciata l’ideologia del “mondo russo” (Russkij mir), chiamato ad evangelizzare gli altri popoli e l’Occidente, ormai in preda alla corruzione e alla perdita della propria identità cristiana puntando il dito contro la russofobia dilagante (che si sostiene sia omogenea rispetto alla cristianofobia occidentale), che certo non costituisce un valido motivo per scatenare una guerra. Nel secondo caso, avanza in modo pervasivo la proposta della “religione laica” di cui Nietzsche sarebbe il fondatore e il profeta2. Egli, infatti, secondo Sossio Giametta, avrebbe fondato «la religione della vita effimera, caduca e scintillante, transitoria, peritura, come essa è e non può non essere; la religione del corpo e della terra, contro ogni trascendenza, immortalità, eternizzazione, sostanziazione»3. Per questo e non senza ragione, Peter Gast suggerì a Nietzsche, di cui era allievo e amico, l’idea che questa sua visione era «una sacra scrittura», un antivangelo. Nietzsche stesso, in “Ecce homo”, definirà la dottrina di Zarathustra la «Bibbia del futuro».

D’altra parte, aggiunge Giametta, una tale concezione della “religione laica” «è improntata a un’estrema umiltà: amare la vita nonostante gli orrori del mondo. È invece proprio la concezione cristiana che è improntata a oggettiva superbia. Essa concepisce infatti che tutto il creato abbia come centro e fine l’uomo»4. In tal modo, con uno strano paradosso, non solo si invertono le parti, ma eliminando il posto centrale dell’uomo all’interno della creazione si giunge a negare ogni prospettiva cristocentrica.

L’esatto contrario di quanto afferma il Concilio Vaticano II quando addita Cristo come «il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle sue aspirazioni»5. Nel post-Concilio, questa dottrina è stata ribadita da tutti i pontefici, sia pure con accenti differenti. San Giovanni Paolo II scrive che in Europa è in atto un «tentativo di far prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo»6; un tale tentativo è stigmatizzato da Benedetto XVI come “dittatura del relativismo”7 e da Papa Francesco come «relativismo pratico che è ancora più pericoloso di quello dottrinale»8.

La guerra in Ucraina ha messo in luce il fatto che il cristianesimo in Occidente si trova di fronte a due possibili derive: la teoria del “mondo russo” da una parte e l’instaurazione della “religione laica” dall’altra. Il loro superamento esige che tutte le confessioni cristiane riprendano con forza la tensione escatologica che deve animare la Chiesa. Essa ha una natura teandrica, vive “nel mondo”, ma non è “del mondo”. Cammina e progredisce nella storia, senza trarre la propria origine dalla storia. Per questo non può conformarsi né agire secondo lo spirito del mondo (cfr. Rm 12,2), né può riporre la sua speranza e la sua attesa nell’efficacia mondana.

La Chiesa è il popolo di Dio in cammino verso l’eschaton: l’avvento di un nuovo cielo e di una nuova terra (cfr. Ap 21,1), di un nuovo uomo e di una nuova creazione (cfr. 2Cor 5,17). Per questo non utilizzerà i mezzi mondani, cioè la forza, la violenza e il potere per imporsi e sopravvivere (cfr. Gv 18,36; Mt 26,53), ma lotterà e pregherà per la riconciliazione universale degli uomini con Dio e tra loro, «per riunire i figli di Dio che sono dispersi» (Gv 11,52) e «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). La Chiesa deve certamente aprirsi e dialogare con il mondo, non però secondo lo spirito del mondo, ma per annunciare il Vangelo della salvezza e per innestare nel mondo la nuova vita che è scaturita dalla tomba di Cristo risorto, con l’ethos dell’amore, la gratuità del servizio e l’annuncio della verità che fa liberi (cfr. Gv 8,32), preparando l’avvento della signoria di Cristo e del suo regno che non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), ma è regno d’amore, di giustizia e di pace.

 

 

1 La locuzione “theologia civilis” compare nell’agostiniana “Città di Dio” e riecheggia la tripartizione greco-latina della disciplina teologica in mitica, naturale e politica, cfr. Agostino, La città di Dio, a cura di L. Alici, Bompiani, Milano 2011, libro VI. Per la concettualizzazione moderna cfr. C. Vigna, Civiltà religiosa e religione civile in un mondo multiculturale, in «Etica & Politica/Ethics & Politics», XIV, 2012, 2, pp. 118-130; V. Possenti, Religione e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno, Armando Editore, Roma, 2002.

2 Cfr. R. Tagliaferri, Tra due annunci o Cristo o Dioniso. Il destino dell’Occidente, Cittadella Editrice, Assisi, 2022.

3 S. Giametta, L’oro prezioso dell’essere. Saggi filosofici, Mursia, Milano 2013, p. 145.

4 Ivi, p.152.

5 Gaudium et spes, 45.

6 Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 9.

7«Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice san Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore. Avere una fede chiara, secondo il credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo» (J. Ratzinger, Omelia alla messa "Pro eligendo Romano Pontifice", l'ultima pubblica prima del conclave, 19 Aprile 2005).

8 Francesco, Evangelli gaudium, 80, Id., Laudato si’,122.

 

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