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Portalecce volentieri ripropone l’articolo apparso ieri su “Nuovo Quotidiano di Puglia” a firma del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli.

 

 

 

Molti commentatori hanno presentato il recente documento vaticano dal titolo “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”, con lo slogan: “Niente sesso prima del matrimonio".

Tutto è stato ridotto a una questione sessuale. Mi limito, qui, a sottolineare che l’intenzione profonda del documento si può sintetizzare con questa espressione: “educare all’amore è un bene per la Chiesa e per la società”. Il Papa, infatti, nella sua prefazione sottolinea che i fallimenti matrimoniali «portano con sé grandi sofferenze e lasciano ferite profonde nelle persone. Esse restano disilluse, amareggiate e, nei casi più dolorosi, finiscono persino per non credere più nella vocazione all’amore, inscritta da Dio stesso nel cuore dell’essere umano».

Da qui la “preoccupazione materna” della Chiesa ad accompagnare i giovani che si preparano al matrimonio perché «siano preservati dai traumi delle separazioni e non perdano mai fiducia nell’amore». Ciò che è in gioco non è una dottrina della Chiesa, ma il benessere della persona e della società; un benessere che trova la sua fondamentale stabilità quando le relazioni d’amore non sono più soggette alla labilità delle emozioni e talvolta, dei capricci personali, ma si radicano in una convivenza fondata su valori comuni, condivisi e perseguiti con tenacia.

A fronte di queste considerazioni, sorgono inevitabili le seguenti domande: Perché non si calcola il danno personale, sociale ed economico dei fallimenti matrimoniali? Perché la società civile non cerca di porre qualche rimedio, ma lascia che la piaga diventi sempre più ramificata e, per questo, più pervasiva? Se la famiglia è la cellula della società, una famiglia disunita non produrrà una società disgregata? Qualcuno penserà che queste domande nascondono una mentalità ormai superata e non più in linea con i nostri tempi. Può darsi. Il problema vero, però, è che non si tratta di teorie, ma di fatti spiacevoli e dolorosi, anzi spesso di storie dolorosissime che sconvolgono l’esistenza delle persone e, in non pochi casi, portano i giovani a perdere il senso della vita e a mettere in atto la triste pratica del suicidio.  

Per questo Papa Francesco parla di un “dovere di giustizia”. Le coppie di sposi, infatti, «sono veri e propri “custodi della vita”, non solo perché generano i figli, li educano e li accompagnano nella crescita, ma anche perché si prendono cura degli anziani in famiglia, si dedicano al servizio delle persone con disabilità e spesso a molte situazioni di povertà con cui vengono a contatto. […] Sono le famiglie che costituiscono il tessuto della società e ne “rammendano gli strappi” con la pazienza e i sacrifici quotidiani. È dunque un dovere di giustizia per la Chiesa». Ma si tratta di un “dovere di giustizia” valido solo per la Chiesa e non anche per lo Stato e la società civile?

Diciamolo francamente: ciò che è in gioco non è un bene ecclesiale, ma il senso e il valore di una società che deve domandarsi se considerare l’amore come “dono reciproco” o come “bene di consumo libertario”. L’uno si oppone all’altro. L’amore “fai da te” rinuncia a considerare l’amore come un’arte che si impara. L’amore “tutto e subito” nega che l’amore vero matura nel tempo. L’amore “aperto a tutte le esperienze” dimentica che l’amore va custodito. L’amore come “piacere infecondo”, rinnega l’amore come atto generativo. L’amore come “puro soddisfacimento fisico”, scarta l’idea che l’amore è una relazione aperta per cercare il bene dell’altro.

Che ormai siamo sprofondati in una deriva nichilista non è un giudizio della Chiesa, ma di persone accorte che vedono con lucidità l’errore dovuto alla considerazione del sesso come surrogato dell’amore. Per tutti valgano queste amare considerazioni del filosofo Giovanni Reale il quale, commentando il Simposio di Platone, scrive: «Il consumismo attuale - la mercificazione del sesso - si è spinto ben oltre: il nulla che si rivela dietro l’esibizionismo fine a sé stesso non è più il nulla metafisico che segnava la crisi dell’Occidente all’inizio del nostro secolo (ossia del XX secolo), ma quello della coscienza ormai inerte. Questo vero e proprio svuotamento ha finito col contagiare non solo l’amore donativo, ma lo stesso piacere fisico. Esso è “omicidio dell’Eros”, non meno dei valori più alti delle tradizioni che hanno costituito la trama stessa di quell’Occidente che ora si sta concedendo, in realtà, un unico piacere: il “piacere della distruzione” di cui parlava Nietzsche»1.

In definitiva, prima di dare un giudizio affrettato e superficiale sul documento ecclesiale, consiglio di leggere il Simposio di Platone, per capire il baratro in cui sia profondati, nel quale ci crogioliamo e dal quale sembra non vogliamo uscire. Forse la lettura del dialogo platonico avrà un effetto catartico e ci aiuterà a capire gli evidenti disastri e le molteplici sofferenze personali e sociali che scaturiscono dai fallimenti delle relazioni sponsali e matrimoniali. Esse toccano non solo gli adulti, ma soprattutto i bambini. Forse allora troveremo la forza di non sottoporre il loro animo innocente al pesante e triste fardello di un sogno d’amore infranto.

1G. Reale, Saggezza antica. Terapia per i mali moderni, Raffaello Cortina, Milano 1995, pp. 138-139.

 

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